Gli amici Fauves di Matisse: Georges Rouault e Kees van Dongen

di Sergio Bertolami

48 – I protagonisti

Georges Rouault intorno al 1920

Georges Rouault (Parigi 1871 – Parigi 1958). Da adolescente è apprendista e poi impiegato presso il pittore di vetrate Émile Hirsch. Allo stesso tempo, segue le lezioni serali presso l’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs di Parigi. Dal 1891 è ammesso all’École des Beaux-Arts di Parigi nel corso di Jules-Élie Delaunay e, alla sua morte, in quello di Gustave Moreau del quale diviene l’allievo prediletto. Alla scomparsa del maestro, non a caso, è nominato curatore del museo Gustave-Moreau, a Parigi, aperto nel 1898. Durante gli anni di Accademia fa amicizia con Matisse, Marquet, Manguin. Tenta due volte il Prix de Rome, ma senza successo. Nel 1901 frequenta l’Abbazia di Ligugé e conosce Joris-Karl Huysmans. Profondamente cattolico, come quest’ultimo, riconosce nell’umanità sofferente il volto di Cristo. Per questo, pur seguendo la lezione dei Fauves si orienta verso temi legati a un’osservazione critica della società: giudici, avvocati, aule giudiziarie, indigenti, emigranti, latitanti. Per modalità d’esecuzione e partecipazione morale, queste opere assumono essenzialmente una valenza espressionista.

Georges Rouault, Il ponte, 1905
Georges Rouault, La noce à Nini patte en l’air, 1905
Georges Rouault, Nudo sdraiato, la Piccola Olimpia, Odalisca, 1906

Importante per il suo percorso esistenziale sarà la frequentazione a Versailles del filosofo cattolico Jacques Maritain. Con i Fauves partecipa alle maggiori mostre pubbliche, di cui il Salon d’Automne del 1905 rimane il momento centrale. Si sposa nel 1908 con Marthe Le Sidaner (sorella del pittore Henri Le Sidaner) e ha quattro figli.

Georges Rouault, I giudici, 1908

Nel 1910 Rouault allestisce la sua prima personale alla galleria Druet. Da questa data, collezionisti e commercianti, in particolare Maurice Girardin o Ambroise Vollard, sono attratti dalla grande forza espressiva del suo lavoro. Lo stesso Vollard, nel 1917, acquista tutte le tele dal suo studio, ben 770. Rouault è sempre incerto su ciò che realizza, per cui molti dei lavori acquistati dal mercante d’arte non sono completati. Ha il permesso di farlo, ma nel 1939 gli eredi di Vollard, stanchi di attendere, confischeranno le opere incompiute del pittore. Nel dopoguerra cerca ispirazione nei soggetti sacri e tema centrale diviene la passione di Cristo. L’opera più importante di questo periodo è un ciclo di grafiche denominato “Miserere”, incentrato sulla miseria della guerra e dei profughi.

Kees Van Dongen nel suo studio 6 rue Saulnier, Parigi

Kees van Dongen (Delfshaven 1877 – Monaco in Costa Azzurra 1968). Irrequieto e vivacissimo artista olandese frequenta saltuariamente Parigi dal luglio 1897. Qui collabora a riviste satiriche, continuando l’attività come disegnatore di servizi di cronaca, esercitata a Rotterdam, sulla linea di Toulouse-Lautrec (ma anche di Steinlen e Forain). Si stabilisce, infine risolutivamente nella capitale dal 1900, frequentando il Bateau Lavoir e stringendo amicizia con Picasso. Assapora con lui la vita di bohème. Insieme vendono quadri come artisti di strada a 20 franchi l’uno. All’epoca van Dongen si ispira liberamente alle opere di Gauguin e dei Nabis. Nel 1904 realizza la sua prima mostra personale presentata alla galleria di Ambroise Vollard: una opportunità che gli permette di farsi conoscere e di avvicinarsi al gruppo dei pittori che espone stabilmente al Salon des Indépendants.  Dipinge opere dalle tinte vivaci, esasperando il disegno elegante e ricco di emozioni. Il cromatismo deforma, nei contrasti, le immagini in forte tendenza espressionistica (Il clown rosso, 1905, Parigi, collezione privata). Con questa pittura entra a far parte del gruppo dei Fauves e con questi prende parte al famoso Salon d’Automne del 1905. Ma, attraverso l’amicizia con Picasso, tiene saldi nel contempo i legami con i cubisti e con gli espressionisti. Tali legami gli permettono di aderire ad alcune mostre in Germania, che influenzano persino i membri del Cavaliere azzurro.

Kees Van Dongen, Donna con grande cappello, 1906
Kees Van Dongen, Ritratto di Daniel-Henry Kahnweiler, c. 1907–08
Kees Van Dongen, La ballerina Anita, c. 1907–08
Kees Van Dongen, Le lottatrici del Tabarin, 1907–08

Tra il 1905 e il 1912 Kees van Dongen esprime il massimo della sua arte (Donna alla balaustra, 1907-10, Saint-Tropez, Musée de l’Annonciade). Diviene il pittore «dell’effimero e del pittoresco della città, dell’immagine femminile nel panorama urbano (il circo, il cabaret…) cui imprime, peraltro, non la tensione emotiva e distruttiva propria, per dire, di un Kirchner (i cui temi sono assai simili), ma una carica di dolce, provocante erotismo, che esprime una verve scintillante e con una profusione di colore luminoso e aggressivo» (Lara-Vinca Masini). Conclusa la guerra alterna vari soggiorni tra Parigi e Costa Azzurra. La sua opera pittorica è ormai dedita alla facile ritrattistica mondana rispondente alla vita lussuosa e raffinata dell’alta borghesia francese.

Scorreremo velocemente altri nomi nelle prossime pagine (Continua).

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Gli amici Fauves di Matisse: Louis Valtat e Henri Manguin

di Sergio Bertolami

47 – I protagonisti

L’iniziatore e animatore ufficiale del gruppo dei Fauves, come si sa, èHenri Matisse. Al suo nome è consuetudine associare almeno quelli di Marquet, Derain, de Vlaminck, di cui ho già scritto nelle pagine precedenti. Poche note sommarie, si capisce, perché per approfondimenti non mi stancherò mai di rimandare alle fonti originali, quanto ai copiosi saggi critici. Derain e de Vlaminck sono gli artisti di Chatou, l’isola della Senna a un tiro da Parigi, dove hanno stabilito studio e residenza. Matisse di loro dice che usano il colore come “cartucce di dinamite”. Ma già dai primi anni del 1900 Matisse, aveva attratto a sé anche altri compagni. Quelli dei primi passi nell’atelier Moreau e nell’Académie Carrière, dove avevano fatto amicizia Rouault, Camoin, Manguin, Puy. A questi, aggiungono il proprio entusiasmo i tre giovani ex-impressionisti provenienti da Le Havre (Friesz, Braque, Dufy). Il denominatore comune dei Fauves si ricapitolava nella rivendicazione della libertà totale dell’artista di fronte ai fatti della natura. Di qui si apriva ogni nuova visione, a cominciare dalle possibilità da esplorare da parte dell’Espressionismo, del Cubismo, del Futurismo, dell’Astrattismo: cioè di quella serie di correnti alternative al fauvismo stesso che nel giro di soli sei anni, con decisione, prenderanno il sopravvento. Questo perché la lezione comune dei Fauves tendeva a sgretolarsi, per via delle diverse sensibilità artistiche manifestate all’interno di un gruppo niente affatto coeso. Non mancò di ravvisarlo Apollinaire, che riferendosi alla personale ricerca di Derain spiegava le compenetrate istanze fauviste e cubiste dell’artista suo amico con il recupero di un certo realismo classicista. Vista dall’esterno, la difficoltosa ricerca di una espressività autonoma può suscitare confusioni, facili e insorgenti equivoci. Non solo il pubblico, ma anche la letteratura critica, tende spesso a segmentazioni nette, rivelando incertezze di fronte ai ripensamenti dei singoli artisti. Le correnti non sempre riescono ad aggregare gli animi irrequieti.  

Ritratto di Louis Valtat 
intorno al 1904 (a 35 anni) opera di Auguste Renoir

Louis Valtat (Dieppe 1869 – Parigi 1952), ad esempio, è considerato un precursore dei Fauves, perché inizia usare tinte forti e vivaci fin dei primi anni del 900, influenzato com’era dal rapporto con i pittori Nabis, che frequentava al Caffè Volpini di Parigi. Aveva trascorso l’infanzia a Versailles, iscrittosi poi all’Académie Jullian, s’era legato a Nabis e ai pointilistes. Tra il 1899 e il 1913 aveva preso a dividere il proprio tempo fra Parigi e Anthéor. Qui, riassumendo i temi agresti suscitati dagli splendidi paesaggi che la natura esprimeva, li aveva restituiti attraverso una straordinaria tavolozza dai colori brillanti e luminosi. Colori che lo faranno collocare fra i precorritori del movimento nato nell’ideale “cage” del Salon d’Automne. Perché ideale? Semplicemente perché le cinque opere che Valtat aveva presentato vennero esposte nella sala XV, insieme a quelle di Kandinskij, Jawlensky e altri artisti. Tuttavia, la critica le accomunerà a quelle dei Fauves della sala VII. Le bestie feroci ruggivano, dunque, anche fuori della gabbia. Tuttavia, per l’artista Valtat, i colori brillanti e solari dei suoi paesaggi servivano a trasmettere sensazioni avvertite di serenità e pace interiore di fronte agli spazi ampi e assolati. A suo vantaggio concorreranno in seguito anche i luoghi in cui vivrà, dopo la Prima guerra mondiale, ovvero la Bretagna e la Normandia. Lo ispireranno ad opere lontane dagli influssi delle avanguardie, quanto piuttosto legate ad un linguaggio naturalistico, libero e personale.

Henri e Jeanne Manguin, 1900

Henri Manguin (Parigi 1874-Saint-Tropez 1948) è uno dei primi ad abbandonare la descrizione realistica, per avvicinarsi ad un uso libero e disinvolto dei colori, distinguendosi comunque per una maggiore coscienza della forma. Dal 1902 espone al Salon des Indépendants e dal 1904 al Salon d’Automne (Davanti alla finestra, 1904, Parigi, collezione L. Manguin). Anche nel suo caso, come in altri pittori del gruppo, il suo cromatismo vivace ha valenza espressiva ed emotiva, dapprima ispirato al puntinismo di Paul Signac, che Manguin ha conosciuto nel 1905 durante un soggiorno a Saint-Tropez. Vi trascorre le estati, lavorando alacremente “dal vero”, con l’utilizzo di tonalità più tenui rispetto al gruppo fauve, laddove prevalgono aranci e violetti, colori più adatti a rendere l’intensa luminosità dei paesaggi del Mezzogiorno francese (14 luglio a Saint-Tropez, 1905; Honfleur: il piccolo porto, 1924). Sono colori che continuerà a utilizzare anche quando la fase fauve si sarà affievolita. Così come manterrà anche i medesimi temi paesaggistici espressi con libertà di segno e di tratto. Non ha, però, il convincimento di proseguire fino in fondo la rivoluzione dimostrata dal movimento e, in quasi tutte le sue opere, mantiene la traccia di una tradizione convenzionale, che la critica riscontra immancabilmente nelle sue opere.

Altri nomi li scorreremo velocemente nelle prossime pagine (Continua).

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Gli amici Fauves di Matisse: Maurice de Vlaminck

di Sergio Bertolami

46 – I protagonisti

Di Maurice de Vlaminck ho già accennato parlando di Derain. La sua unione con i fauves fu fragile e breve, come per molti altri del gruppo che dopo il 1907 intraprenderanno, chi più chi meno, un percorso autonomo.

Maurice de Vlaminck, Chiatte sulla Senna (Bateaux sur la Seine), 1905-06
Maurice de Vlaminck, La Senna a Chatou, 1906
Maurice de Vlaminck, Le bassin à Chatou (Il bacino di Chatou con barca a vela bianca), 1907

Il sodalizio con André Derain fu per Maurice de Vlaminck determinante, per gli sviluppi artistici che lo imposero all’attenzione come una delle personalità più forti e tenaci del gruppo. Conobbe l’amico Derain il 18 giugno 1900, in occasione del deragliamento di un treno per pendolari. L’anno successivo, visitando nella galleria Bernheim una retrospettiva dedicata a Vincent van Gogh sceglie la pittura come percorso privilegiato di vita. Fino a quel momento, pur di lavorare, aveva fatto un po’ di tutto: prima il meccanico, poi il corridore di bicicletta, poi il musicista suonando il violino nelle orchestrine della domenica. Infine, decise di unirsi a Derain e impiantare un proprio atelier artistico a Chatou, nell’antica Maison Levanneur, che attualmente ospita il Centre National Édition Art Image (Cneai).

Vista notturna della Maison Levanneur com’è oggi. Importante centro culturale di Chatou, che ospita la casa dei pittori Cneai (Centro nazionale per l’edizione, l’arte e l’immagine) del XIX secolo

Un anno dopo Derain lo lasciò a sé stesso, perché chiamato a prestare il servizio militare, ma tenne col giovane uno stretto rapporto epistolare. Si apriva un periodo da bohémien per l’artista, con una famiglia da mantenere, costretto a raschiare vecchi dipinti per recuperare le tele. Alla pittura accomunò la scrittura di due romanzi dall’estetica decadente e i contenuti piuttosto spinti per l’epoca. La passione verso l’arte primitiva e il fauvismo, che lo coinvolse completamente, gli permisero di inserirsi a pieno titolo fra gli artisti emergenti. Alla ricca cultura di Matisse de Vlaminck contrapponeva il suo istintivo entusiasmo di chi scopre il mondo da autodidatta. Si vantava di non essere un frequentatore di musei, ma di «amare van Gogh più di suo padre».

Maurice de Vlaminck, Paesaggio con alberi rossi, 1906

Matisse lo invitò a presentare lavori alla galleria di Berthe Weil e al Salon des Indépendants del 1905. Qualche mese dopo al Salon d’Automne. Lo scandalo smosse il mondo delle gallerie. Il mercante d’arte Ambroise Vollard fu affascinato dal lavoro di de Vlaminck. Lo sostenne con acquisti e nel 1908 gli dedicò una mostra personale. Non fu però l’unico mercante d’arte, perché anche Daniel-Henry Kahnweiler si interessò a lui. Sono questi gli anni, prima della guerra, in cui la pittura di Maurice de Vlaminck è incentrata su violenti toni puri (Il ponte di Chatou, Soleure, collezione privata; Paesaggio con alberi rossi, 1906, Parigi, Musée d’Art Moderne). Trascorsa, però, la stagione fauve, l’artista si accostò alla costruzione pittorica di Paul Cézanne (Autoritratto, 1912), passando poi a interessi condivisi dalla ricerca contemporanea (H. Rousseau e l’arte negra) fino ad intraprendere qualche sperimentazione cubista.

Maurice de Vlaminck, Autoritratto, 1912
Maurice de Vlaminck, Village, 1912 circa

Con la guerra venne assegnato a una fabbrica nella regione di Parigi e non spedito al fronte, avendo allora una moglie e tre figlie. Quando a conclusione del conflitto il peggio fu superato, divorziò e si risposò con Berthe Combe, che gli diede altre due figlie. L’arte fauves era ormai alle spalle e l’artista preferì concentrarsi su di una figurazione realistica, dai forti accenti espressionistici, con paesaggi dai colori cupi e densi. Dal 1925 si stabilirà a Rueil-la-Gadelière fino alla morte.

 André Derain (a sinistra) e de Vlaminck (a destra), nel 1942

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Gli amici Fauves di Matisse: Albert Marquet

di Sergio Bertolami

45 – I protagonisti

Abbiamo letto nella puntata scorsa che Fernand Léger descriveva così Salon des Indépendants (ripeto la citazione per comodità, vostra e mia): «È soprattutto una fiera di pittori per pittori, una fiera di dimostrazioni d’arte, il suo eterno rinnovamento, che è poi la sua ragion d’essere. Il Salon des Indépendants è un salone per dilettanti, il salone degli inventori. I borghesi che vengono a ridere di queste palpitazioni non sospetteranno mai che si stia recitando un dramma completo, con tutte le sue gioie e le sue storie. Se ne fossero consapevoli, perché in fondo sono brave persone, vi entrerebbero con rispetto, come in una chiesa».

Albert Marquet

A rileggere le fonti, sorprende come siano ricorrenti alcuni termini, accompagnati a immagini suggestive, come questo della chiesa, riferito da Léger.  Scriveva, infatti, Vauxcelles: «È stata istituita una cappella, officiano due preti superbi. MM. Derain e Matisse; poche decine di catecumeni innocenti hanno ricevuto il battesimo». Solo che i nomi che enumera non sono quelli battezzati come fauves nell’articolo d’apertura del Salon d’Automne. In questo caso, il critico del quotidiano Gil Blas, affermava esserci «una quantità di Indipendenti», come Marquet e compagni. Di Marquet ho già accennato, ma vorrei aggiungere qualche parola.

Albert Marquet, Autoritratto, 1904

Albert Marquet

Lo abbiamo già conosciuto, quando con l’amico Matisse iniziò un percorso comune ai tempi in cui praticavano regolarmente lo studio di Gustave Moreau. Seguendo l’incitamento del maestro, Marquet percorreva in lungo e largo la città per appuntare sul suo taccino schizzi di banchine e ponti, sul lungosènna. Disegnava di tutto, velocemente, con maestria, riprendendo chiatte e lavandaie, scene di strada e passanti, carrozze, ciclisti, caffè-concerto. Usava pastelli a colori vivaci, ma anche pennelli. Quando racimolava qualcosa, affittava una stanza di servizio o una stanza d’albergo, per farne uno studio momentaneo.

Albert Marquet, La Senna e l’abside di Notre-Dame, 1902
Albert Marquet, Notre-Dame sous la neige, 1905

Come al 25 quai de la Tournelle nel 1902 per dipingere scorci di Notre-Dame oppure al 1di rue Dauphine vedute della Senna nel 1904. Di nuovo nel 1906 dipinge il panorama dalla Torre Eiffel all’Île de la Cité. Fonte d’ispirazione era Monet con la serie delle cattedrali di Rouen. A conti fatti, Marquet fa l’esperienza fauvista, espone insieme ai compagni. Ammira Matisse, ma non lo segue del tutto nelle sue sperimentazioni. Naturalmente la critica lo percepisce e lo fa notare, perché i suoi dipinti, pur usando i colori puri, resistono a certe forzature coloristiche dei suoi compagni. Gustave Coquiot gli rimprovera «un fauvismo castigato capace di piacere al grande pubblico», che, in verità, ai grandi felini preferisce i «gatti di casa» (Tériade).

Albert Marquet, Fécamp (The Beach at Sainte-Adresse), 1906

Dal 1905, meglio dal 1906, avviene la svolta che lo scioglie dalle endemiche difficoltà finanziarie. Lo Stato acquista alcuni suoi dipinti (Les Arbres à Billancourt nel 1904, e l’anno successivo Notre-Dame, soleil e nel 1906 Le Port de Fécamp). Espone al Salon belga de La Libre Esthétique. A Parigi è presente nelle gallerie di Berthe Weill e Bernheim-Jeune. Firma un contratto di esclusiva con Eugène Druet che gli assicura così di che vivere. Ora può viaggiare, e dipingere anche fuori di Parigi. Gli piace divertirsi, ha una vita sociale interessante. Ama il bigliardo e molto meno le discussioni intellettuali. Piuttosto preferisce i bordelli, che frequenta con Charles Camoin o George Besson. Riprende in questo modo, nell’inverno 1908-1909, gli studi di nudo trascurati dai tempi delle Accademie. Proseguirà così fino allo scoppio della guerra. Modella preferita è Ernestine Bazin, in arte Yvonne, alla quale si lega fino al 1922. È giovane, bella, vivace e impertinente. Soprattutto, davanti allo stesso carattere scontroso di suo padre che ogni tanto riemerge, Ernestine sa come farlo ridere. Chiaramente, gli ispira pose meno convenzionali delle modelle ritratte nelle sessioni di studio accademico.

Albert ed Ernestine-Yvonne intorno al 1910, quai Saint-Michel
Albert Marquet, Disegno da L’Académie des Dames

Quando viene dichiarata la guerra, anche Marquet è mobilitato, ma dimesso subito dopo per motivi di salute. Passeggiando tra una riva e l’altra della Senna o per il Quartiere Latino con Matisse e Van Dongen, attendono momenti migliori dandosi da fare a favore degli amici al fronte. Certo dal tempo dei fauves era passato qualche anno. Nell’ambito del movimento, Marquet aveva sviluppato uno stile personale, differenziandosi per un cromatismo meno marcato.

Albert Marquet, Vesuvius, c. 1909
Albert Marquet, Le Pont St. Michel, 1910

Dal 1909 alla violenza dei contrasti prediligeva toni grigi e sommessi, attraverso cui tradurre luci e atmosfere del paesaggio urbano (Il ponte Saint-Michel, Grenoble, Musée de Peinture et de Sculpture). Ora i suoi interessi si indirizzavano verso i grandi spazi di acqua e di cielo, come le sue vedute dei porti di Fécamp, Algeri, Napoli, Amburgo, Stoccolma. Aveva cominciato dopo il 1905, sulle orme di Matisse, ad intraprendere viaggi di studio in Francia, ora lo faceva anche all’Estero e continuerà per tutta la vita con questa passione dei viaggi: in Algeria e in Egitto, in Romania, Russia e Scandinavia.

Albert Marquet, La femme blonde (Femme blonde sur un fond de châle espagnol),1919
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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Gli amici Fauves di Matisse: Jelka Rosen

di Sergio Bertolami

44 – I protagonisti

La mostra al Salon d’Automne del 1905, aperta al Grand Palais di Parigi, destò, dunque, scandalo. Colpì per l’audacia nell’uso dei colori veementi. Lo scrittore Camille Mauclair disse che «un barattolo di vernice era stato buttato in faccia al pubblico» e col termine “vernice” intendeva proprio il materiale adoperato dagli imbianchini per tinteggiare le pareti di uno stabile. Si può chiamare comunemente pittore un imbianchino, ma fare il contrario, chiamare imbianchino un pittore, è sicuramente segno di disprezzo. Né più né meno che denominare fauves questi pittori in mostra, come fece Louis Vauxcelles. Scrisse che il candore dei busti marmorei presenti nella medesima sala – come il candore delle imbiancature delle maestranze, sottintese da Mauclair – sorprendevano «in mezzo all’orgia dei toni puri», quanto Donatello tra le bestie feroci. Matisse facilmente avrebbe potuto ottenere l’approvazione del pubblico, che nell’applaudirlo come a teatro lo avrebbe incitato con bene! … bravo! e magari esortato al bis! Aveva, invece, preferito farsi sbranare dalle belve del circo come una verginella. Derain, dal canto suo, s’era rivelato «più un artista di manifesti che un pittore». Ho provato a descrivere la ricerca espressiva di Matisse e Derain in quella calda estate del 1905 a Collioure. Ma chi erano gli altri pittori saltati all’occhio critico di Vauxcelles? Marquet era il primo. Gli facevano compagnia i signori de Vlaminck, Ramon Pichot, Girieud, Manguin, Camoin. Fra tanti uomini, non mancava una donna, Jelka Rosen.


Jelka Rosen, Frederick Delius nel giardino della sua casa a Grez-sur-Loing,

Jelka Rosen

Comincerei da lei, perché incontrare un’artista donna che ufficialmente espone al Grand Palais non è certo consueto. Infatti, Vauxcelles le dedica poco meno di un accenno: «La signorina Jelka Rosen usa colori ribes molto acidi, la sua fantasia è comunque decorativa». Influenzata delle sue radici impressionistiche, frammiste ormai all’estetica del puntinismo, l’artista dipinge i fiori del giardino della sua casa a Grez sur Loing; ma anche suo marito, il musicista Frederick Delius, ha evocato quello stesso giardino nel poema sinfonico In a Summer Garden (1908).

Jelka Rosen, Ritratto di Frederick Delius, 1912

Hélène Sophie Emilie Rosen, amichevolmente chiamata Jelka, nata nel 1868 a Belgrado (importante centro dell’Impero Austro-Ungarico), era figlia di un diplomatico prussiano e, da parte di madre, nipote di un noto compositore. Aveva trascorso gran parte della sua infanzia in Vestfalia, in Germania, e già dalla prima infanzia parlava tre lingue. Quando nel 1891, accompagnata dalla madre appena rimasta vedova, Jelka si stabilì a Parigi per studiare arte affittò una stanza nel quartiere di Montparnasse e qui conobbe musicisti come Maurice Ravel – compositore del famosissimo Boléro – o artisti come Auguste Rodin, Paul Gauguin, Henri Rousseau, Edvard Munch, le cui opere orneranno più tardi la sua casa da sposata.

Conobbe anche donne come Camille Claudel o Ida Gerhardi, i cui contributi artistici non sono sovente riportati nelle comuni Storie dell’arte. Questo a dimostrazione dell’eccezionalità di trovare una donna in ambienti tipicamente maschili. Scrivere, infatti, che a Parigi Jelka Rosen studiò arte, sottintende che frequentò privatamente uno dei tanti studi che preparavano a sostenere l’esame di accesso all’Académie des Beaux-Arts. Una conquista culturale ottenuta da poco, perché solo dal 1900 – ben undici anni dopo la prima formale richiesta di ammissione alle Beaux-Arts presentata da Madame Bertaux – le donne potevano seguire un laboratorio loro riservato all’interno dell’Accademia. Dal 1903, le donne furono persino autorizzate a presentare domanda per concorrere al prestigioso Prix de Rome. Jelka Rosen studiò solo all’Accademia dello scultore italiano Colarossi, ma non entrò mai alle Beaux-Arts. l’Académie Colarossi, come l’Académie Julian, aveva corsi misti. Insegnamenti privati, dunque, che offrivano possibilità di sviluppare i propri interessi artistici anche alle donne, ma a costi elevati: solitamente il doppio di quelli richiesti agli studenti maschi.

Jelka Rosen e  Ida Gerhardi nella classe di pittura dell’Accademia Colarossi a Parigi intorno al 1892/93

Dell’arte di Jelka Rosen non avremmo parlato affatto se non l’avessimo incontrata nella sala VII del Salon d’Automne del 1905, perché dopo qualche anno abbandonerà gradualmente la pittura. Sposatasi nel 1903, si dedicherà alla casa e al marito ammalato, come sovente accadeva. Ma come si era trovata fra gli artisti della mostra scandalo? Semplice, attraverso le sue esposizioni al Salon des Indépendants. Jelka Rosen rappresentava paesaggi ariosi – tutt’altro che fauves – con colori pastello ispirati dalle sue vacanze in Inghilterra e Norvegia, oppure attratta dai colori dei fiori del suo giardino. Dipingeva in compagnia di Ida Gerhardi. Le due donne trascorrevano l’estate applicandosi insieme (com’era uso fra gli artisti) e in alcune occasioni avevano esibito le loro opere in mostre pubbliche, dove erano state accolte con successo. In particolare, l’annuale Salon des Indépendants, dove Matisse l’aveva notata e invitata a frequentare la sua cerchia di artisti che a lui facevano capo. Il Salon des Indépendants era un trampolino di lancio per molti e lo fu anche per Jelka Rosen. Fernand Léger – pittore anche lui indipendente che sceglierà il cubismo – raccontava il Salon così: «È soprattutto una fiera di pittori per pittori, una fiera di dimostrazioni d’arte, il suo eterno rinnovamento, che è poi la sua ragion d’essere. Il Salon des Indépendants è un salone per dilettanti, il salone degli inventori. I borghesi che vengono a ridere di queste palpitazioni non sospetteranno mai che si stia recitando un dramma completo, con tutte le sue gioie e le sue storie. Se ne fossero consapevoli, perché in fondo sono brave persone, vi entrerebbero con rispetto, come in una chiesa». Jelka Rosen, anche se per breve tempo, entrò a fare parte di questa chiesa.

Jelka Rosen, The Garden at Grez,
Jelka Rosen in età avanzata

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay