Franz Marc: “Le nuove idee sono difficili da capire solo perché non sono familiari”

di Sergio Bertolami

35 – Der Blaue Reiter: rinnovamento spirituale della cultura occidentale

Se Kandinsky è il teorico del Blaue Reiter, Franz Marc, grazie al suo senso pratico, ne è a tutti gli effetti l’organizzatore: mantiene i contatti fra i membri, informa mercanti d’arte e curatori delle mostre, editori e collezionisti. Kandinsky lo ritroveremo nel dopoguerra, più animato che mai, perché la Rivoluzione russa offrirà all’artista una miriade di possibilità per affermare i propri indirizzi. Per Franz Marc non è così. Lui che poco prima della guerra diceva «Solo a quaranta o cinquant’anni dipingerò i miei quadri migliori», a quaranta o a cinquant’anni non ci arriverà mai. Come era avvenuto un anno e mezzo prima per l’amico August Macke, ucciso sul fronte occidentale, Marc, arruolato in cavalleria, è colpito da schegge di granata durante una ricognizione e muore il 4 marzo del 1916 a Braquis, nella piana di Woevre, a 15 chilometri da Verdun. Quella mattina aveva scritto alcune righe a sua moglie Maria, perché doveva essere l’ultimo giorno al fronte: «Sì, tornerò anche quest’anno. Alla mia intatta, cara casa. Tra le terrificanti immagini di distruzione tra le quali ora vivo, questo pensiero di ritorno a casa ha un alone che non può essere descritto in modo sufficientemente dolce. Non preoccuparti, me la caverò». Unanime è il cordoglio fra gli artisti. «Il cavaliere azzurro è caduto – scriverà cinque giorni dopo sul quotidiano Berliner Tageblatt la poetessa Else Lasker-Schüler, fra i massimi rappresentanti dell’Espressionismo tedesco in letteratura – su di lui scendeva il profumo dell’Eden. Gettava un’ombra blu sul paesaggio. Era lui che sentiva ancora parlare gli animali; ed ha trasfigurato le loro anime incomprese».

Franz e Maria Marc in veranda a Sindelsdorf, in una foto scattata da Wassily Kandinsky

«Io cerco di potenziare la mia sensibilità per il ritmo organico di tutte le cose, cerco di raggiungere una sintonia panteistica col vibrare e scorrere dei succhi vitali nella natura, negli alberi, negli animali, nell’aria…». Proprio così, e il colore è per Marc l’elemento essenziale per entrare in sintonia col mondo che lo circonda, ed ecco allora i suoi cavalli rossi o blu come originale espressione di spiritualità. Aveva conosciuto Auguste Macke nel 1911 e attraverso di lui aveva potuto scoprire le tinte esuberanti dei Fauves e quelle di Kandinsky, che lo attrasse per il «fascino dei suoi colori puri, vigorosi, fiammeggianti». Ambedue amavano l’azzurro: per questo aveva proposto d’intitolare Blaue Blatter (Pagine Azzurre), la rivista da realizzare insieme. Kandinsky, privato della capacità organizzativa di Marc, ammetterà di avere rinunciato alla pubblicazione di un secondo numero dell’Almanacco, nonostante il cospicuo materiale raccolto, perché non si sentiva di affrontare da solo il lavoro editoriale dopo la prematura scomparsa dell’amico. Dobbiamo però riconoscere che a fianco di Kandinsky e Marc c’era la stretta collaborazione di molti altri. August Macke, per primo: senza il suo provvidenziale aiuto e senza il finanziamento di suo zio, il mecenate Bernhard Köhler, l’Almanacco non sarebbe stato mai pubblicato. Il sostegno morale e intellettuale per la conoscenza di testi teosofici di Gabriele Münter ingenerosamente dimenticata da Kandinsky e riscoperta come pittrice solo in anni recenti. Così come altri artisti, considerati di minore spicco e rivalutati solo negli ultimi studi: è il caso di Alexej von Javlenskij e della moglie Marianne von Werefkin per certe tematiche spiritualistiche estremamente interessanti. «Tuttavia, il Blaue Reiter è stato anche questo: l’occasione unica per tener unite figure diversissime e pur legate dalla ricerca di un’alternativa spirituale alla civiltà europea, e di una sintesi di spunti di marca simbolista francese, russa e tedesca, ponte tra le esperienze romantiche e le avanguardie» (Jolanda Nigro Covre).

Auguste Macke, Ritratto di Franz Marc, 1910

Nondimeno, fra tutti è Franz Marc il vero punto di riferimento per Kandinsky nella realizzazione dell’Almanacco del Blaue Reiter. La ragione della pubblicazione, s’è detto, era la riconosciuta necessità di porre rimedio all’incomprensione della nuova arte moderna da parte del pubblico, spiegandone i motivi intrinseci. Marc è un punto centrale, e i suoi tre saggi lo dimostrano: Beni intellettuali (Geistige Güter), Il selvaggio in Germania (Die Wilden Deutschlands) e Due immagini (Zwei Bilder). «Nella nostra epoca di grande lotta per l’arte nuova – evidenzia nell’Almanacco – combattiamo da “selvaggi”, non organizzati, contro un vecchio potere organizzato. La lotta sembra impari, ma nelle cose spirituali non vince mai il numero, ma la forza delle idee. Le temute armi dei “selvaggi” sono i loro nuovi pensieri: uccidono meglio dell’acciaio e spezzano ciò che era considerato indistruttibile. Chi sono questi “selvaggi” in Germania? Una gran parte è nota e ampiamente descritta nella rivista: la Brücke di Dresda, la Neue Sezession di Berlino e la Neue Vereinigung di Monaco». Franz Marc tesse, dunque, il collegamento fra le avanguardie, spiega, chiarisce. Perché? «Le nuove idee – questa è la sua risposta – sono difficili da capire, solo perché non sono familiari». È nel suo carattere comprendere a fondo le cose. L’insegnamento gli proviene dalla famiglia. Nato a Monaco l’8 febbraio 1880, ha imparato a dipingere dal padre, autore di soggetti religiosi. Dalla madre, calvinista, ha acquisito una severa educazione. La sua indole gli fa porre sempre domande, e cercare risposte; a volte però gli capita di non sentirsi all’altezza per comprendere le spiegazioni, come quelle che fornisce il pastore alle sue richieste, tanto che la madre insiste perché Franz intraprenda studi teologici. Nel 1899 opta, invece, per la facoltà di filosofia dell’Università di Monaco; ma è un convincimento fugace, perché già l’anno successivo, dopo aver terminato il servizio militare, in autunno scopre la vocazione artistica ed entra all’Accademia di Belle Arti (Königlich Bayerischen Akademie in München).

Franz Marc, Ritratto della madre dell’artista, 1902

Come allievo di Gabriel Hackl e Wilhelm von Diez, non può che imparare bene il fare artistico della tradizione. Forma e struttura del ritratto della madre lo attestano. Grazie alla sua ottima conoscenza del francese a maggio del 1903 Marc convince un ricco amico a farlo studiare a Parigi per diversi mesi e qui vede le opere di Gustave Courbet ed Eugène Delacroix. È il contraccolpo che lo convince a interrompere gli studi all’Accademia. Si trasferisce in uno studio a Schwabing, famoso a Monaco come quartiere degli artisti, nel quale si concentrano da vari anni pittori, scrittori, musicisti che occhieggiano alle avanguardie e approfittano della vicinanza all’Università e all’Accademia di Belle Arti. Continua a disegnare, soprattutto illustrazioni per accompagnare le poesie di Richard Dehmel, Carmen Sylva, Hans Bethge. Questi lavori sono stati pubblicati postumi solo nel 1917 da Anette von Eckhardt col titolo in italiano di Stella Peregrina. Anette è una pittrice che si dedica a fare copie dei maestri; è sposata e il suo matrimonio pesa molto sulla relazione che ha con Franz, il quale cerca invano di scrollarsi di dosso umori melanconici e incertezze artistiche, viaggiando. Nella primavera del 1906 accompagna il fratello Paolo a visitare i monasteri bizantini del Monte Athos e ne studia i manoscritti. In modo realistico, esegue poche e modeste grafiche di animali e paesaggi. Ancora un altro breve viaggio a Parigi, nella primavera del 1907, dove si entusiasma per le opere di Vincent van Gogh e Paul Gauguin, modificando così la tavolozza dei suoi colori che diventa sempre più chiara quando ritrae vedute. Per mantenersi, cerca di fare fronte alla sua precaria situazione finanziaria, impartendo lezioni di disegno anatomico, che immancabilmente hanno per oggetto studi dettagliati sugli animali.

Franz Marc, Lärchenbäumchen (Larici), 1908

Marc trascorre l’estate a Lenggries con la futura moglie, la pittrice Maria Franck. Studia la natura e dipinge principalmente animali, alla ricerca di una semplificazione sempre maggiore delle forme, utilizzando il colore come mezzo di espressione indipendente, discostandosi dal naturalismo e dal realismo, che da fine Ottocento continuano ad essere insegnati all’Accademia e che lui ha appreso perfettamente. A Parigi aveva scoperto vis a vis i quadri degli impressionisti, ma soprattutto dei post-impressionisti e la xilografia giapponese. Da allora la sua ricerca naturalistica è mutata: «Van Gogh è per me la più grande, la più autentica, la più commovente figura di pittore che io conosca. Dipingere un frammento della più semplice natura e dipingervi dentro tutta la fede e tutto lo slancio dell’anima, questa è veramente la cosa più degna». Nel dipinto Larici l’influenza di van Gogh è evidente. Dà alle sue composizioni un significato poetico e simbolico. Lenggries rappresenta una svolta. La sua ricerca si rivolge completamente al colore, che profonde brillante e puro sulla tela. Inizia anche ad occuparsi sempre più esclusivamente degli animali, dei loro movimenti, singolarmente o in gruppo. Per settimane studia cavalli, mucche, cervi. Li dipinge oppure li modella in creta. L’influenza di van Gogh rimane dominante anche nelle opere dell’anno successivo, quando trascorre del tempo a Sindelsdorf. «Io ora generalmente non dipingo […] che le cose più semplici, poiché solo in esse sta il simbolismo, il pathos, e il mistero della natura. Tutto il resto si allontana da lei, si perde nella meschinità e nelle stonature». Compie un’opera di esplorazione, cercando di «ovviare al rischio della “naturalizzazione” che significa decadenza dell’arte, contrapponendole il concetto di “animalizzazione”, a mezzo del quale egli, secondo la teoria di Cézanne (“guardare più profondamente nella struttura organica delle cose”), intende indagare nelle leggi della natura» (Lara – Vinca Masini).

Franz Marc, Nudo con gatto, 1910

Marc ama talmente van Gogh da aiutare i galleristi Brakl e Thannhauser ad allestire la prima mostra del pittore olandese a Monaco, nell’inverno del 1909. A gennaio 1910 riceve nel suo studio la visita del giovane pittore August Macke e di suo zio Bernhard Köhler, che presto diverrà mecenate di entrambi e chiaramente del sodalizio che a breve i due contribuiranno a realizzare. A febbraio, Marc può esporre per la prima volta il suo lavoro nella galleria d’arte moderna di Brakl a Monaco. È un’affermazione che attira l’interessamento dei collezionisti. Difatti, grazie ad una successiva visita a Berlino, Köhler assicura al giovane pittore il mantenimento, con uno stipendio mensile che gli permette di risolvere le pressanti difficoltà economiche in cui si trova. Decide così di lasciare lo studio di Monaco per abitare nel vicino villaggio di Sindelsdorf, dove può dipingere liberamente a stretto contatto con la natura. Nel settembre 1910, Marc visita la seconda mostra della Neue Künstlervereinigung, grazie alla quale conosce Wassily Kandinsky, Alexej Jawlensky, Gabriele Münter, Marianne von Werefkin e gli altri pittori dell’associazione. Finalmente si è liberato dal suo isolamento artistico e inizia una fase completamente nuova della sua pittura. Il dipinto Nudo con gatto mostra per la prima volta per Marc, che si lascia ispirare dal lavoro di Macke, una intensità cromatica tipica dei Fauves.

Quadri come Cavalli al pascolo I, inizialmente basati su colori naturalistici, trovano nuove forme espressive fino alla famosa composizione Cavalli al pascolo IV. Queste composizioni si avvicinano alle creazioni astratte di Kandinsky, perché il blu di quei cavalli, considerato come un colore spirituale per eccellenza, li rende simili a degli esseri mitici e soprannaturali. La storia di Marc da questo momento in poi corre parallela a quella di Kandinsky. A febbraio del 1911 Marc diventa membro della Neue Künstlervereinigung di Monaco. A maggio tiene la sua seconda mostra alla Galleria Thannhauser. Durante i preparativi per la terza mostra della Neue Künstlervereinigung, la giuria respinge la Composizione V di Kandinsky. È la scissione e il 18 dicembre Marc, Münter, Kubin, guidati da Kandinsky, inaugurano la prima mostra del Blauer Reiter nella galleria Thannhauser di Monaco. Marc, tra le altre composizioni presenta la Mucca gialla.

Franz Marc, Mucca gialla, 1911
Franz Marc, Cervo nel giardino di un monastero, 1912

I propositi artistici di Marc collimano con quelli di Kandinsky: denominatore comune è il desiderio di contribuire a un rinnovamento spirituale della cultura occidentale. Solo che la spiritualità di Marc è in armonia con la tradizione dell’arte religiosa occidentale e usa i suoi animali metafisici per evidenziare i valori del creato. Nell’autunno del 1912 Marc in compagnia di August Macke è di nuovo a Parigi e fa visita a Robert Delaunay. Un incontro questo che influenzerà profondamente il lavoro dei due tedeschi alla luce delle idee francesi sul Cubismo. L’inseparabilità di spirito e materia si riflette nelle successive raffigurazioni come La tigre (1912), Sotto la pioggia (1912) o Cervo nel giardino di un monastero (1912, tutti a Monaco di Baviera, Lenbachhaus).

Dall’alto in basso: Destini animali (a sinistra), Il mandrillo, Immagine con bovino, tutti dipinti del 1913 di Franz Marc

Nell’estate del 1913, Marc si dedica alle grandi e importanti composizioni, realizzate tra le sue due case di Sindelsdorf e Ried, vicino a Benediktbeuren. Sono le opere dell’ultimo periodo prima dell’inizio della guerra, dove il soggetto è quasi del tutto scomposto in strutture prismatiche di diversi colori. Un Marc cubista a sua insaputa. Inoltre, sogna un progetto comune: pubblicare un’edizione biblica illustrata insieme a Kandinsky, Kubin, Klee, Heckel, Kokoschka e comincia a redigere le prime bozze. Su richiesta di Hugo Ball, per breve tempo, si occupa anche di mettere insieme idee per una produzione della Tempesta di Shakespeare, che però non si concretizzerà mai, perché allo scoppio della guerra, il 1° agosto 1914, si offre volontario per il fronte. Ad animarlo è lo spirito nazionalista, convinto che la Germania s’imporrà sull’Europa: «L’aquila tedesca avrà alcuni artigli più appuntiti nel suo stemma. Vorrei disegnare la nuova aquila tedesca quando questa guerra sarà finita». Esattamente all’opposto di quello che scriverà Schmidt-Rottluff per l’aquila che simboleggerà la nuova Repubblica di Weimar. Marc è fermamente convinto della vittoria finale. «Il popolo sente di dover prima attraversare la Grande guerra per dare inizio a una nuova vita e a nuovi ideali». E fra questi ideali non può mancare la nuova arte: «Chi assiste dall’esterno e prefigura la nuova vita che stiamo conquistando, probabilmente penserà che il vino nuovo non debba essere messo nelle bottiglie vecchie. Spingeremo attraverso il nuovo secolo con la nostra volontà costruttiva». Una testimonianza diretta e stringente della guerra vista dall’altra parte del fronte occidentale, come nel libro di Erich Maria Remarque. Marc scrive molte lettere alla moglie, prende appunti e fa disegni. Paul Cassirer pubblicherà questi fogli sparsi con il titolo Franz Marc, Lettere dal campo, schizzi, e aforismi (Briefe aus dem Felde e Aufzeichnungen und Aphorismen, Berlino 1920). Cambia poco, anche per il cavaliere azzurro caduto per la sua Patria. Pure lui sarà diffamato come “artista degenerato” alla mostra del 1937 e 130 delle sue opere confiscate dai musei tedeschi.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Kandinsky e Il Cavaliere Azzurro alla ricerca dell’armonia di colori e forme

di Sergio Bertolami

34 – L’esoterismo di Rudolf Steiner influenza Kandinsky

Il Blaue Reiter durò il tempo di tre anni appena. A Monaco Kandinsky aveva soppiantato la Neue Künstlervereinigung (Nuova Società d’Artisti) e s’era portato via altri dissidenti come lui, cioè Franz Marc, Alfred Kubin e Gabriele Münter. Accomunati nelle idee, insieme hanno dato vita al primo nucleo del Blaue Reiter. L’esposizione iniziale si apre il 18 dicembre 1911 nella galleria Tannhäuser. Vengono esposte 43 opere di vari autori. Ci sono, naturalmente, Kandinsky, Franz Marc, Gabriele Münter, ed inoltre Albert Bloch, i fratelli David e Vladimir Burljuk, Heinrich Campendonk, August Macke. Anche i due francesi Robert Delaunay e Henri Rousseau sono invitati e non manca neppure Arnold Schoenberg, che tutti conoscono come musicista, ma che per l’occasione presenta due sue prove da pittore. La rassegna rimane aperta fino al 1° gennaio 1912, poi si trasferisce a Colonia, al Gereonsklub, per interessamento di Emmy Worringer, quindi dal 12 marzo 1912 al 10 aprile a Berlino nella galleria Der Sturm di Herwarth Walden, appena inaugurata. Ma non è l’unica mostra del Blaue Reiter, perché in contemporanea dal 12 febbraio al 2 aprile dello stesso anno 1912 i membri allestiscono una seconda mostra con 315 opere di grafica, intitolata Nero Bianco ed esposta nella libreria e galleria d’arte di Hans Gotz a Monaco. Nonostante l’intestazione sia la più consona per una rassegna del gruppo che raccoglie opere su carta, sono presenti anche composizioni a colori, disegni e acquerelli. Una settimana dopo la chiusura, la mostra riappare al Gereonsklub di Colonia e, seguendo il programma della prima mostra, a metà di marzo è presentata alla galleria Der Sturm di Berlino. A conti fatti una visibilità ben organizzata, in modo da toccare le principali città tedesche e fare conoscere al pubblico degli estimatori i pittori che si riconoscono nelle aspirazioni del nuovo gruppo artistico. Vi figurano 25 pittori che costituiscono gran parte dell’avanguardia europea. Sono francesi, spagnoli, tedeschi, danesi, russi, svizzeri, come Hans Arp, Georges Braque, André Derain, Maurice de Vlaminck, Pablo Picasso, Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Paul Klee, Alfred Kubin, Gabriele Münter, Max Pechstein, Emil Nolde, Kazimir Malevič.

Gabriele Münter, L’uomo seduto al tavolo (Ritratto di Kandinsky), 1911

Il 1912 è un anno ricco di avvenimenti per il movimento: alla mostra del Sonderbund di Colonia sono esposte le opere di Kandinsky, Marc, Macke. Nel mese di aprile compare sulla rivista Der Sturm il saggio di Kandinsky Il linguaggio delle forme e dei colori; inoltre nelle librerie arriva la prima edizione del libro Lo Spirituale nell’arte (Über das Geistige in der Kunst, insbesondere in der Malerei). È forse l’opera più famosa di Kandinsky, sicuramente è quella più dirompente se ancora oggi viene continuamente ristampata. La tesi di fondo del libro, più che estetica o pittorica è quasi filosofica, anzi visionaria. È legata alla dottrina e al movimento teosofico nati nel secolo precedente. Difatti, nel 1909 Kandinsky assiste allo svolgersi a Monaco della seconda conferenza teosofica, presieduta da Rudolf Steiner, dopo la fondazione di un nuovo movimento di pensiero che si distingue, per alcuni versi, dalle lontane teorie spirituali della Società fondata a New York nel 1875 dall’esoterista russa Helena Petrovna Blavatsky e dall’avvocato americano colonnello Henry Steel Olcott. Si sostiene che ogni religione del mondo conserverebbe, fra i suoi insegnamenti, alcuni residui di un’antica verità divina che in epoche remote erano conosciuti soltanto da un ristretto numero di iniziati illuminati, i quali ne avrebbero diffuso solo gli aspetti adatti ad essere recepiti dal contesto culturale dell’epoca. Una teoria da iniziati, per intenderci, che mescola conoscenza mistica con indagine scientifica. Nel 1907 Olcott, che dichiara di seguire le istruzioni dei Maestri, nomina presidente della Società Annie Besant, una libera pensatrice, che sceglie come principale collaboratore Charles Webster Leadbeater. L’attività si diffonde nel mondo germanico a cavallo del primo conflitto mondiale. In un saggio dei due eminenti teosofi, Leadbeater e Besant, intitolato Le Forme-Pensiero, troviamo scritto che i pensieri sono realmente visibili sul “piano astrale” (ovvero la quarta dimensione); hanno forma, colore, suono, proprio come la realtà materiale. Rudolf Steiner, in contrasto con Annie Besant, nel 1913, esce della sezione tedesca della Società teosofica di cui è segretario generale per fondare la Società Antroposofica, con sede a Dornach, il cui esoterismo origina una sintesi fra religioni e culti d’Oriente e tradizione dello gnosticismo occidentale.

Kandinsky, per la verità, dette il suo assenso convinto alle teorie di Steiner, ma non aderì mai alla Teosofia. Ne rimase soltanto affascinato, al punto di porre quelle convinzioni alla base della sua concezione della vita e dell’arte. Nello stesso 1909, influenzato dalla conferenza teosofica, scrive Lo Spirituale nell’arte, anche se lo darà alle stampe solo due anni dopo. Kandinsky annuncia nel libro che, se da principio fu l’età del padre, espressa nell’antico testamento, poi quella del figlio, incarnata nei Vangeli, ora il mondo è pronto per una terza età, quella dello Spirito, che sconfiggerà il materialismo in nome della piena affermazione dei valori interiori e immateriali. In molti passi leggere Kandinsky o il suo maestro risulta indistinguibile. Per Steiner la natura dell’uomo ha tre aspetti: corpo, anima e spirito. Il corpo permette di relazionarsi con le cose, tranne con l’anima, che custodisce le sensazioni. Per vedere il mondo fisico è sufficiente il senso della vista, ma per conoscere il mondo interiore delle sensazioni occorre una particolare percezione soprasensibile che solo lo spirito può rivelare. Come per Steiner, anche per Kandinsky l’opposizione fra mondo fisico e mondo dello spirito sarà, dunque, superata acquisendo una superiore conoscenza. Di qui, nascono le considerazioni visibiliste sui colori e sul loro legame a particolari simbolismi. I colori che circondano una figura umana sono chiamati aura, percettibili solo da un veggente. In certe esperienze «toni di un giallo-rossiccio e di bruno attraversano l’aura in vari punti… con lo sviluppo dell’intelligenza i toni verdi si fanno sempre più frequenti […] In una condizione animica tranquilla, invece, i toni bluastri e rossastri si ritraggono e compaiono varie sfumature di verde […] I toni azzurri compaiono dove regna l’atteggiamento animico della devozione». Queste non sono parole del pittore, ma del filosofo. Il pittore trova, invece, nel filosofo il sostrato culturale delle sue teorie pittoriche. Un colore, considera ad esempio Kandinsky, può essere spiegato seguendo uno schema apparentemente semplice: può essere caldo o freddo, chiaro o scuro. Può essere caldo, come il giallo, oppure freddo, come il blu. Ricordate il concetto di sinestesia? Cioè l’associazione di due parole o due passaggi discorsivi che fanno riferimento a sfere sensoriali diverse? Questo è un esempio concreto. Infatti, dallo schema si possono ottenere quattro combinazioni principali: caldo-chiaro, caldo-scuro; freddo-chiaro, freddo-scuro. Se questa distinzione si applica su di una stessa superficie pittorica, il colore diventa però più materiale o più immateriale, originando veri e propri movimenti: un colore caldo come il giallo tenderà a un movimento centrifugo verso l’osservatore; uno freddo come il blu, al contrario, tenderà a un movimento centripeto, allontanandosi dall’osservatore. «Il giallo è il colore tipico della terra, non può avere troppa profondità […] La profondità la troviamo nel blu».

Wassily Kandinsky, A proposito dello spirituale nell’arte, specialmente nella pittura (Über das Geistige in der Kunst, insbesondere in der Malerei) 1912

«Alla pittura – scrive Maurizio Calvesi – viene attribuito un valore trascendentale, e cioè la funzione di ricongiungere l’uomo all’essere unitario e misterioso che si rappresenta cosmicamente come natura e con cui l’artista può entrare in contatto per un acuirsi della sua tesa sensibilità spirituale. Il mito teosofico ottocentesco di una religione originaria e universale, di cui la natura è continua rivelazione, è al centro degli ideali mistici degli artisti del Blaue Reiter: particolarmente di Marc, che nella sua agitata visione simbolica fa precise allusioni figurative alla natura e al creato; mentre in Kandinskij la ricerca pittorica si presenta più pura, e guidata, nel suo binario astratto, da un sotterraneo ma lucido controllo dell’intelligenza sull’istinto». In effetti, la febbrile ricerca di questi anni, espressa fra sperimentazioni formali e scritti teorici, trova un punto di convergenza nell’Almanacco del Cavaliere Azzurro che vede la luce nel mese di maggio grazie all’editore Reinhard Piper. Un volume di grande formato, arricchito da immagini e stampe a colori, con molti testi critici concernenti la pittura e la musica contemporanea. «L’Almanacco – considera Will Grohmann – rimane un esempio unico nella letteratura artistica europea perché in nessun paese è apparsa mai un’opera come questa che riassumesse tutto il fermento e la tensione degli anni precedenti la prima guerra mondiale». Kandinsky, che traduce tutti gli articoli russi e raccoglie gran parte del materiale iconografico, è anche autore di tre contributi: un saggio dedicato alla pittura, Il problema delle forme, uno riguardante il teatro, Sulla composizione scenica, infine addirittura una sua sinestetica pièce teatrale, Il suono giallo.

Franz Marc e Wassily Kandinsky, dall’Almanacco del Cavaliere Azzurro, pubblicato da R. Piper & Co

Sfogliando il volume è evidente che le immagini relative alle opere figurative sono superiori a quelle astratte. Ciò che in realtà conta, chiarisce Kandinsky, non è scegliere fra realismo ed astrazione, ma provocare nel lettore/osservatore una risonanza che ne faccia percepire il contenuto spirituale: «Realismo ed astrazione si equivalgono, la diversità massima sul piano esteriore si trasforma in massima uguaglianza in quello interiore». Il problema delle forme costituisce una definizione sottile di alcuni argomenti già espressi nel libro Lo spirituale nell’arte: le forme adottate dal pittore, astratte o realistiche, non valgono per sé stesse. Per le forme astratte, come una linea, è importante che il pittore cancelli ogni possibile spiegazione sulla funzione pratica della rappresentazione e il pubblico sia predisposto a comprendere che ciò che si sta guardando non è un “oggetto” rappresentato attraverso una linea, ma la linea stessa. L’astrattismo non è dunque un sistema artistico assoluto, specchio dei tempi moderni, ma la ricerca di una lettura spirituale. Ecco perché non necessariamente l’arte deve essere orientata verso l’astrazione, quasi fosse una meta finale al lavoro del pittore, perché un simile errore finirebbe col negare all’artista ogni libertà: «La cosa più importante non è che la forma risulti personale, nazionale, ricca di stile, che corrisponda al movimento principale dello spirito del suo tempo, che sia affine a molte o a poche altre forme, che sussista o meno isolatamente; la cosa più importante riguardo al problema della forma è se la forma scaturisca o meno da una necessità interiore. In altre parole: non si deve fare della forma un’uniforme. Le opere d’arte non sono soldati». L’Almanacco del Cavaliere Azzurro è pubblicato nel 1912 in edizione normale, accompagnato da un’edizione di lusso di 50 esemplari rilegati in pelle – contenenti anche due xilografie, una di Kandinsky e l’altra di Marc – nonché un’edizione da museo in 10 esemplari. Per l’anno successivo, Kandinsky e Marc hanno in mente una seconda pubblicazione dell’Almanacco che non verrà tuttavia realizzata, pur avendo raccolto parecchi contributi appositamente richiesti agli autori. A questo proposito la moglie di Macke annota nei suoi ricordi: «È un tempo memorabile per noi tutti la nascita del Cavaliere Azzurro […] Erano ore indimenticabili in cui ognuno degli artisti elaborava il suo manoscritto, lo limava, lo cambiava […] Poi arrivavano gli articoli degli artisti invitati a collaborare, le proposte per le riproduzioni […] Lo stesso Kandinsky era un tipo molto strano, singolare, il vero animatore di tutti gli artisti che incappavano nel suo fascino: egli aveva qualcosa di singolarmente mistico e fantastico abbinato a una dogmatica e ad un pathos assolutamente rari».

Wassily Kandinsky, Una voce sconosciuta, 1916

Nel corso di quell’anno 1912 fervono iniziative e progetti, grazie soprattutto alla collaborazione del berlinese Herwarth Walden, forte della sua galleria Der Sturm e dell’omonima rivista d’arte. A luglio dello stesso anno Karl Ernst Osthaus ospita al Museo Folkwang di Essen la mostra del Blaue Reiter, che a settembre è riproposta alla galleria Goldschmidt di Francoforte. L’anno dopo è Herwarth Walden ad organizzare a Berlino la mostra più significativa del gruppo artistico ormai in ascesa. È allestita al Deutscher Herbstsalon, come dire il Salon d’Automne tedesco. Quando nel successivo 1914 scoppia il conflitto, ognuno pensa che si tratterà di una guerra lampo. Per il gruppo di Kandinsky sarà invece la rovina del progetto artistico. Aderente alla Triplice intesa, la Russia, come Regno Unito e Francia, è nemica dichiarata della Germania. Kandinsky, vista la sua nazionalità, nel giro di due giorni deve sloggiare in gran fretta. Si rifugia a Goldach in Svizzera. Con lui parte anche la sua famiglia “allargata”: la prima moglie Anja e la cognata, giunte casualmente in visita dalla Russia, così come Gabriele Münter e la governante bavarese da anni al servizio del pittore. A Goldach con l’intera famiglia lo raggiunge anche l’amico Paul Klee, il pittore svizzero col quale Kandinsky negli ultimi tempi ha intessuto a Monaco una stretta collaborazione artistica. È un momento di stasi pittorica, ma non d’inattività, perché comincia a mettere a punto le idee che sostanzieranno il famoso saggio degli anni Venti: Punto linea superficie. A novembre l’artista decide di rientrare in Russia, così dopo essersi chiusa la parentesi del Blaue Reiter, si chiude in sostanza anche il legame con Gabriele Münter, che torna in Germania. È vero, si ritroveranno a Stoccolma nella primavera del 1916, per esporre le loro opere, ma sarà l’ultimo incontro. Un acquerello astratto, dipinto quello stesso anno, testimonia il passaggio da una relazione sentimentale a quella successiva. S’intitola Una voce sconosciuta (1916), è la voce della giovane Nina von Andreevsky che un anno dopo diventerà sua moglie. È lei stessa a raccontare come, per un fatto del tutto fortuito, l’artista sia rimasto così colpito dalla sua voce al telefono da chiederle con insistentenza di conoscerla. I due si sposano a febbraio del 1917, qualche settimana prima che a Pietrogrado il popolo scenda in strada e dia inizio alla Rivoluzione Russa con la deposizione dello zar.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Kandinsky e Il Cavaliere Azzurro: “Il cavallo porta il cavaliere, ma il cavaliere guida il cavallo”

di Sergio Bertolami

33 – Der Blaue Reiter di Wassily Kandinsky e Franz Marc

Il Cavaliere Azzurro – questa è la traduzione di Der Blaue Reiter – richiama alla memoria un quadro che porta lo stesso titolo, un olio su tela di 50×60 centimetri, dipinto di Wassily Kandinsky nel 1903. Due anni prima della fondazione della Brücke. All’epoca Wassily ha 37 anni e da sette si è trasferito a Monaco da Mosca. È un giovane maturo, deciso a intraprendere la strada della pittura, studiando arte all’Akademie der Bildenden Künste, consapevole di rinunciare alla sua laurea in giurisprudenza, all’offerta d’insegnare materie giuridiche all’Università di Dorpat in Estonia e a una promettente carriera di avvocato. Il 1903 è un anno particolare, perché conosce una giovane artista che è anche una sua alunna, Gabriele Münter, e per lei divorzierà dalla moglie, sua cugina Anna Chimyakina, più grande di sette anni, conosciuta all’Università. Soprattutto in quell’anno particolare realizza quel dipinto divenuto un’icona dell’arte moderna. In origine è chiamato semplicemente Der Reiter (Il Cavaliere), ma verrà ribattezzato per sottolineare l’aspetto premonitore e inconscio che prelude alla nascita di uno dei maggiori movimenti d’avanguardia europei. Raffigura un misterioso messaggero coperto di mantello e cappuccio azzurro, al galoppo su di un cavallo bianco, mentre attraversa un prato verdissimo che ha per sfondo una foresta di betulle e monti in lontananza del medesimo azzurro. C’è chi scrive che il dipinto di per sé non significa niente, ma ha rappresentato un’importante pietra miliare nella transizione artistica di Kandinsky dall’impressionismo (la cui matrice è evidente in quest’opera) all’arte astratta. Giudizio incauto, visto che Kandinsky, dei cavalieri, ha fatto un tema dominante della sua opera iniziale. Problema dei critici è che, con Kandinsky, non possono inventare niente, perché è un pittore che usa anche scrivere, e molto bene: «Con gli anni ho imparato che il lavoro con il batticuore, un senso di oppressione al petto e di angoscia in tutto il corpo, con dolori intercostali, non basta. Può salvare l’artista, ma non la sua opera. Il cavallo porta il cavaliere con forza e velocità, ma il cavaliere guida il cavallo. Il talento trascina l’artista con forza e rapidità verso grandi altezze, ma l’artista conduce il suo talento». Il cavallo rappresenta il talento di Kandinsky, dunque, e Kandinsky il san Giorgio del Novecento. Questo per sua ammissione, scritto nero su bianco in Regard sur le passé (Sguardi sul passato, 1913) dove raccoglie le immagini del proprio mondo autobiografico e immaginativo. La sua memoria, asserisce, è composta soprattutto di colori; della sua stessa infanzia ricorda particolarmente i colori che, con il tempo, hanno preso il posto degli oggetti le cui immagini tendono a sbiadirsi: «I primi colori che mi fecero grande impressione sono il verde chiaro e brillante, il bianco, il rosso carminio, il nero e il giallo ocra. Avevo allora tre anni. Quei colori appartenevano a oggetti che non rivedo più chiaramente, come rivedo, invece, i colori».

Wassily Kandinsky, Il cavaliere azzurro, 1903

Il Cavaliere Azzurro è anche il nome del gruppo artistico nato nel 1911 dalla sua fervida fantasia, e che aggiunge, da quel momento in poi, una tessera significativa all’Espressionismo tedesco. Perché le premesse ideologiche del movimento, che si proponeva di comunicare in modo immediato stati d’animo e sentimenti, erano già state chiarite da Kirchner nel manifesto del 1905. Ma ora, accanto all’Espressionismo psicologico della Brücke (Il Ponte) – rimasto soltanto un fenomeno tedesco col suo linguaggio aspro e contestatario incentrato sulla deformazione dell’immagine per evidenziare gli aspetti esecrabili della realtà – si affermerà l’Espressionismo astratto del Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro). La diffusione sarà internazionale. E dire che il nome è una trovata di Franz Marc e Kandinsky, come racconta lui stesso, mentre sedevano a un tavolino del caffè-giardino di Sindelsdorf: «Entrambi amavamo l’azzurro, Marc i cavalli, io i cavalieri. Così il nome venne da sé». Secondo Kandinsky, l’emblema del Cavaliere Azzurro, folgorazione casuale durante quella conversazione con Marc, potrebbe essere visto come una sorta di programma breve – come breve e misurato era il manifesto xilografico di Kirchner per Die Brücke – un programma rappresentato dal colore azzurro (che è come un blu cosmico che tende ai toni più chiari) in connessione con la quieta naturalezza del cavallo e il dinamico incalzare del cavaliere per attraversare il confine. Quel confine che finora ha separato le arti, dal momento che uno degli sforzi più importanti di Kandinsky è trasmettere l’idea che l’arte è sinestetica, trascende cioè i confini tra le sue varie forme. L’idea di sinestesia non è distante da tutti noi; viene espressa inconsapevolmente nel linguaggio quotidiano quando ci riferiamo ad uno “sguardo silenzioso”, a un “dolce suono”, una “luce calda o fredda”, quando dinanzi ad un quadro affermiamo di “sentire il colore” o ascoltando una musica di “vedere lo stormire delle fronde o il gorgogliare di un ruscello”. Nello stesso modo, il colore può avere un timbro, così come una musica può avere un tono.

Citazione di Eugène Delacroix

In che modo spiegare tutto questo, e tanto altro ancora, al pubblico di una mostra? Aspettare che un critico lo faccia interpretando un artista? «La maggior parte dei testi sull’arte sono scritti da persone che non sono affatto degli artisti, quindi tutti i termini e i giudizi sono sbagliati». La citazione perentoria, del pittore romantico Eugène Delacroix, campeggia isolata in una pagina dell’Almanacco del Cavaliere Azzurro. Suona come protesta contro tutta la critica d’arte del tempo e sembra volere uccidere la ricerca storico-artistica. La misura di tutte le cose, secondo il gruppo del nuovo movimento Der Blaue Reiter, non è nelle osservazioni di presunti esperti, bensì nelle mani stesse degli artisti. La nota di biasimo è rafforzata da una litografia che mostra San Giorgio a cavallo, mentre conficca la sua lancia nella gola del drago. Cavalieri cristiani e figure equestri occupano buona parte delle illustrazioni del volume. L’innamoramento per questi temi rappresenta in Kandinsky la strada verso una vita semplice, non convenzionale, in armonia con la natura e il mondo rurale, quello dell’Alta Baviera.

Wassily Kandinsky, Ritratto di Gabriele Münter, 1903

La storia inizia nel 1908, quando Kandinsky e Gabriele Münter, che fanno coppia ma non sono sposati, incontrano, durante le vacanze a Murnau, Marianne von Werefkin e Alexej von Jawlensky, anche loro legati da un “matrimonio selvaggio”. L’anno successivo, Gabriele decide di acquistare una casa a Murnau, ancora oggi esistente, fra le cui mura trascorrere, lei e Wassily, soprattutto le estati, tornandoci ogni anno fino al 1914. La soluzione va intesa come una scelta di vita, che influenzerà tutto il periodo immediatamente precedente lo scoppio della guerra. Esprime nello stesso tempo amore per la natura e critica verso le costrizioni della città, ma rappresenta anche la volontà di provare a sperimentare una stabile esistenza affettiva. In dodici anni, trascorsi insieme, i due non arriveranno mai al matrimonio. Annota Wassily: «Il carattere di Gabriele non poteva andare d’accordo con il mio … e io non ero disposto a fare concessioni». L’interesse di Kandinsky e Münter per l’arte popolare, in particolare per la pittura su vetro dell’Alta Baviera, è comunque un momento di visione comune. Scaturisce dal convincimento che tutte le arti debbano condividere uguali diritti, come è possibile riscontrare dai documenti pubblicati più tardi nell’Almanacco.

La casa di Gabriele Münter a Murnau, la cosiddetta “Casa Russa”.

L’amicizia tra Gabriele Münter e Marianne Werefkin, come tra Alexej von Jawlensky e Wassily Kandinsky produrrà anche una collaborazione artistica e una reciproca influenza. Anzitutto nella rappresentazione del luminoso paesaggio lacustre dell’Alta Baviera, dominato dalla catena alpina, reso attraverso il trattamento del colore luminoso, brillante e acceso, con superfici a spatola di chiaro dinamismo. Gabriele Münter descrive questa ricerca come un passaggio «dal dipingere la natura – più o meno impressionista – al sentire un contenuto – all’astrarre – nel senso di dare un estratto» di quel contenuto. È questo un concetto nevralgico. Sotto l’impulso di Kandinsky il gruppo di amici intende intraprendere nuove vie espressive, verso la creazione di spazi immateriali, verso l’astrazione lirica e fantastica della realtà. Così i quattro, nel 1909, insieme a Adolf Erbslöh, Oscar Wittenstein, Alexander Kanoldt, Hermann Schlittge, Alfred Kubin, e molti altri, danno vita all’associazione Neue Künstlervereinigung München (NKVM, ovvero Nuova associazione di artisti di Monaco), della quale Wassily Kandinsky, viene eletto presidente. Già prima di organizzare le mostre del 1909 e del 1910, introduce nello statuto della NKVM la cosiddetta “clausola dei quattro metri quadrati”, scaturita da una discussione col pittore Charles Johann Palmié: «Ogni membro titolare ha il diritto di esporre due opere, non soggette al giudizio della giuria, purché non superino una superficie totale di 4 metri quadrati».

Wassily Kandinsky, Murnau: case sull’Obermarkt, 1908 

All’interno dell’associazione monacense, tuttavia, non si respira un’aria tranquilla. Si creano dubbi e disaccordi, perché la maggior parte dei membri non approva la progressiva tendenza all’astrazione manifestata da Kandinsky. Quando le forze conservatrici della NKVM scatenano la loro aperta opposizione verso la pittura sempre più irreale di Kandinsky, richiedendo opere «più comprensibili», il pittore a gennaio del 1911 lascia la presidenza. Gli subentrano prima Erbslöh poi Franz Marc. Gli attacchi nell’ambiente rimangono violenti: «O si suppone che la maggior parte dei membri e degli ospiti dell’associazione sia inguaribilmente malata di mente, o si ha a che fare con degli impudenti bluffatori, che non ignorano la necessità di sensazionalismo dei nostri tempi, cercando solo di sfruttare la situazione». La scissione si verifica quando in preparazione della terza esposizione, verso la fine del 1911, il quadro di Kandinsky intitolato Composizione VGiudizio Universale, è respinto adducendo il pretesto che la somma delle misure delle opere che il pittore vorrebbe presentare supera le prescrizioni dello statuto. Kandinsky lascia l’associazione, e Franz Marc, Alfred Kubin, Gabriele Münter escono con lui per formare il nucleo centrale del Blaue Reiter.

Wassily Kandinsky, Primo acquerello astratto, 1910

Qualche mese prima, per l’esattezza il 19 giugno 1911, Wassily Kandinsky in una lettera a Franz Marc aveva menzionato per la prima volta l’idea di una pubblicazione da eseguire insieme. Non poteva immaginare che un anno dopo avrebbero avviato quella che immaginavano come una serie di volumi intestati Almanach Der Blaue Reiter. In verità, la serie si ridurrà ad un numero unico, il quale però è diventato così famoso da essere considerato uno dei più importanti scritti programmatici dell’arte del XX secolo. «Beh, ho un nuovo programma», riferisce Kandinsky nella lettera a Marc. «Piper sarà la casa editrice e noi due dovremmo essere i curatori. Una sorta di Almanacco annuale con riproduzioni e articoli soltanto di artisti. […] Il volume dovrà rispecchiare l’intero anno, e una catena rivolta al passato e una orientata al futuro dovrebbero dare vita a questa specie di specchio. […] Presenteremo i burattini egiziani delle ombre accanto a uno scarabocchio infantile, un disegno ad inchiostro cinese accanto a Rousseau il doganiere, un giornale popolare accanto a Picasso, e molto altro! A poco a poco diventeremo letterati e musicisti. Il volume potrebbe intitolarsi Die Kette (La catena) o qualcosa di simile».

Wassily Kandinsky, Composizione V (Giudizio Universale), 1911

In questa bozza di progetto, Kandinsky precorre l’idea di mettere uno accanto all’altro artisti di differenti paesi ed espone il principio fondamentale del libro: la giustapposizione comparativa di opere d’arte afferenti a culture, geografie ed epoche diverse, una combinazione di arte elitaria e arte popolare, senza dimenticare le sculture del Camerun, del Messico o della Nuova Caledonia oppure la pittura europea sia antica che moderna. Una bozza di progetto che troverà riscontro nella pubblicazione del 1912, con sedici testi, 141 illustrazioni e tre spartiti musicali. Un esempio concreto del nuovo canone artistico. Contemporaneamente al volume d’arte, Kandinsky e Marc organizzano in tutta fretta la loro prima mostra. Dal 1910, Franz Marc e Maria Franck (che sposerà l’anno seguente) vivevano insieme a Sindelsdorf, a 15 chilometri da Murnau. Per cui tutti questi preparativi hanno sede nella casa di Murnau di Gabriele Münter, dove si intessono stimolanti discussioni per tutto l’autunno del 1911, fra Wassily e Franz, Maria e Gabriele, nonché altri artisti loro amici, come Heinrich Campendonk e i cugini August e Helmuth Macke.

Prima mostra Der Blaue Reiter alla Galleria Thannhauser, Monaco di Baviera, 1911, foto di Gabriele Münter
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Il 18 dicembre 1911 puntualmente la mostra è presentata nella Galleria Thannhauser col titolo di Prima mostra degli editori del “Blaue Reiter”. L’Almanacco, invece, è pubblicato a Monaco di Baviera a maggio del 1912, destinato esclusivamente dagli artisti che lo hanno redatto agli artisti e ai cultori illuminati che lo leggeranno. Vi compaiono saggi di Marc, Kandinsky e Macke e, in chiusura, spartiti musicali di Scriabin e Schoenberg. Accompagnano i testi, riproduzioni di dipinti e illustrazioni di maestri come El Greco, Van Gogh, Matisse, Picasso, Rousseau, non manca il gruppo della Brücke con Kirchner ed Heckel e chiaramente il gruppo del Blaue Reiter. Immagini che si confrontano con xilografie, intagli e arazzi medievali, dipinti dell’arte vetraria bavarese, ombre egizie, bronzi del Benin e disegni fanciulleschi, manufatti realizzati fuori d’Europa, provenienti dall’America Latina, dall’Alaska, dal Giappone e dall’Africa. Una manifestazione imponente e straordinaria di cultura aperta e tollerante, resa ancora più eccezionale se si pensa che solo due anni più tardi il mondo sarà lacerato con l’esplosione della Prima guerra mondiale. La prima edizione raggiunge le 1200 copie e va esaurita in breve tempo. Cosicché proprio in quell’anno tragico 1914, l’editore Richard Piper pubblica una seconda edizione dell’opera, esattamente identica alla prima.

Copertina dell’Almanacco del cavaliere azzurro pubblicato nel 1912

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Karl Schmidt-Rottluff – “Obiettivo della Brücke è attirare a sé tutti gli elementi rivoluzionari e in fermento”

di Sergio Bertolami

32/4 – I protagonisti

Karl Schmidt-Rottluff (Rottluff 1884 – Berlin 1976). C’è un ritratto fatto da Ernst Kirchner, in cui compare anche Schmidt-Rottluff. Per essere precisi Kirchner affermava: «I miei dipinti sono allegorie, non ritratti». In questo dipinto del 1925, rappresenta I pittori della Brücke. Sono passati dodici anni dallo scioglimento; anni che riaffiorano nel ricordo di quella giovane ed eccitante comunità di artisti. Sono in quattro, ma al posto di Fritz Bleyl è raffigurato Otto Müller (seduto, mentre fuma la pipa). La presenza di Bleyl, rimasto nel gruppo per soli due anni, dev’essere stata percepita come una meteora. In piedi, invece, riconosciamo gli altri tre fondatori: Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Karl Schmidt-Rottluff. Allegoria, dunque, di quegli anni di certo difficili. Prima, l’affermazione delle nuove idee che ricordavano battaglie ed assalti Sturm und Drang. Poi, i contrasti per cercare di mantenere coeso un gruppo di spiccate individualità. Kirchner, tiene in mano un giornale: una critica negativa? I presenti appaiono perplessi. Schmidt-Rottluff, a destra col pizzetto, ha una mano in tasca come Heckel, che sta al centro: un atteggiamento che conferisce loro un’aria intellettuale irresistibile.

Ernst Ludwig Kirchner: I pittori della Brücke, 1925, Museum Ludwig. Da sinistra a destra: Müller (seduto), Kirchner, Heckel, Schmidt-Rottluff

Erich e Karl si erano conosciuti nel 1901 al liceo umanistico di Chemnitz (in Sassonia). Entrambi avevano preso a frequentare i dibattiti del circolo Vulkan, dove gli studenti delle scuole superiori di Chemnitz discutevano gli scritti d’attualità degli autori più autorevoli, come Friedrich Nietzsche, Fjodor Dostojewski, August Strindberg, Henrik Ibsen. Dopo il diploma del liceo, sempre insieme, si stabiliscono a Dresda nel 1905 per studiare architettura e dare vita, con Bleyl e Kirchner, al gruppo degli artisti della Brücke. Karl prende la decisione che da allora, per farsi distinguere dagli omonimi, si sarebbe fatto chiamare Karl Schmidt-Rottluff. In Germania, il cognome Schmidt è comune quanto Rossi in Italia. Così – come da noi abbiamo un Leonardo da Vinci, un Merisi da Caravaggio, un Antonello da Messina – Karl Schmidt pensò di affiancare, anche lui, il nome del luogo di nascita. Suo padre era il proprietario del mulino Friedrich Schmidt di Rottluff e Karl era nato proprio nella casa adiacente al mulino, a un tiro da Chemnitz. A Rottluff nel 1891 aveva cominciato le elementari, anche se per breve tempo frequenterà una scuola privata a Rabenstein. Dal 1897 è al liceo di Chemnitz, quindi dal 1905 finalmente è a Dresda, dove ha inizio la sua vita artistica.  

Ernst Ludwig Kirchner, Copertina del quarto annuario del gruppo artistico Die Brücke dedicato a Karl Schmidt-Rottluff, 1909

Pur essendo il più giovane fra i quattro fondatori del gruppo Die Brücke è dotato di una forte personalità. È lui che propone il nome del movimento e che ne definisce molte delle linee stilistiche. Come già Fritz Bleyl, anche Schmidt-Rottluff descrive le condizioni dello studio di Dresda in cui i quattro lavoravano e vivevano: «L’atelier era sotto il tetto. Abitare in questo spazio era vietato a causa delle restrizioni del codice antincendio, ma era consentito rimanere e lavorare lì. Dovevamo quindi evitare l’impressione che questi fossero i nostri alloggi. I mobili più necessari dovevano scomparire in soffitta durante il giorno. E così il posto era decorato esclusivamente con tende. Una tenda era appesa davanti alla porta d’ingresso, una seconda davanti al riscaldamento del forno […] una stanza attigua era nascosta da una tenda batik a fantasia astratta».

Karl Schmidt-Rottluff, Case sulla Gartenstrasse, 1906

Schmidt-Rottluff s’impegna anche ad allargare il gruppo, così per esempio scrive a Emil Nolde, a febbraio del 1906, insistendo perché partecipi alle loro esposizioni e si unisca a loro: «Per andare dritto al punto, il gruppo di artisti chiamato Die Brücke considererebbe un grande onore poterti accogliere come membro. Ovviamente saprai poco di Die Brücke come noi sapevamo poco di te prima della tua mostra alla galleria Arnold a Dresda. Uno degli obiettivi di Die Brücke è attirare a sé tutti gli elementi rivoluzionari e in fermento: questo è il significato del nome Brücke. Il gruppo organizza anche diverse mostre all’anno, che manda in tournée in Germania. Ora, caro Herr Nolde, pensa come ti pare e piace, speriamo che questa offerta sia il prezzo giusto per le tue tempeste di colore». Schmidt-Rottluff aveva conosciuto Emil Nolde a Dresda, visto che spesso accompagnava la moglie Ada per controlli medici in ospedale. Aveva trascorso l’estate sull’isola danese di Alsen nel Mar Baltico, ospite dei coniugi Nolde che possedevano una casa vicino al villaggio di Guderup, raffigurata in un quadro dai forti contrasti cromatici e dalle pennellate rapide e nervose, al limite dell’astrazione. Nell’anno successivo, in compagnia di Heckel e della pittrice di Oldenburg Emma Ritter, Schmidt-Rottluff trascorre per la prima volta i mesi estivi a Dangastermoor e Dangast e ci tornerà fino al 1909. Come ad Alsen, lavora sul ritmo e sulla direzione delle sue pennellate. Ora esegue marine e paesaggi, insistendo con ampie aree di colore stese direttamente sulla tela per mezzo di una spatola. Linee vibranti che ricordano quelle di Van Gogh. Non ha più dubbi: interrompe gli studi di architettura in quello stesso anno 1907, per dedicarsi interamente alla pittura. Sempre nel 1907 Heckel e Schmidt-Rottluff, inseparabili, divengono membri dell’Associazione degli artisti della Germania nord-occidentale. Recatosi ad Amburgo conosce l’avvocato e collezionista Gustav Schiefler e la storica dell’arte Rosa Schapire, della quale ha così grande stima da ritrarla ripetutamente nel 1911, 1915 e 1919. Pensa che i due possano far parte dei membri passivi della Brücke. L’affiatamento col gruppo è tale che la cartella di stampe del 1909, distribuita fra i membri passivi, è interamente dedicata alle sue opere e ha in copertina un suo ritratto eseguito da Kirchner.

Karl Schmidt-Rottluff, Bahndamm in inverno, 1905/06
Karl Schmidt-Rottluff, Deichbruchbruch, 1910

I primi quadri di Schmidt-Rottluff esprimono uno stile pittorico dettagliato e puntinista (Bahndamm in inverno, 1905/06), che con il tempo va cambiando carattere. Per tutto il periodo della Brücke a Dresda, come gli altri membri, Schmidt-Rottluff subisce l’influenza di Van Gogh e del neoimpressionismo che, dal 1908, lo fa orientare verso «la dialettica “linea-superficie” organizzando la sua composizione nel concorso di questi due elementi e in questo seguendo il medesimo processo di Kirchner e Heckel». (Ewald Rathke, L’Espressionismo). Come i suoi amici e compagni d’avventura, la sua pennellata energica crea nella scena un senso potente di movimento, quasi vertiginoso, che dal 1910 si trasforma in uno stile piatto, cromatico e ritmico, dalle forme appuntite, tratteggi nervosi e toni più tenui, dove si avverte l’influenza dei Fauves (Deichbruchbruch, 1910). Questo contribuisce fortemente alla monumentalità dell’insieme. Vale anche per le xilografie, realizzate in contemporanea, che mostrano nella loro semplice severità espressiva la sua attenzione rivolta alla scultura sviluppata dalle culture fuori d’Europa. Riguardo alle sue grafiche commenta: «A volte arrivavo ad esagerare certe forme, in violazione della proporzione scientifica, ma in accordo con l’equilibrio delle loro relazioni spirituali l’una con l’altra. Ho realizzato teste enormemente sovradimensionate rispetto ad altre parti del corpo, perché la testa è il punto di concentrazione di tutta la psiche, di tutta l’espressione». Nell’inverno del 1910, Schmidt-Rottluff soggiorna ad Amburgo e affitta qui un piccolo studio in un sottotetto. Dipinti e acquerelli, realizzati negli anni che precedono la Prima guerra mondiale, mostrano principalmente paesaggi dai colori forti, in cui deliberatamente utilizza una combinazione di forme semplici e poche linee espressive. (Abeti davanti alla casa bianca, 1911). Sono i frutti maturi dei suoi viaggi. Da aprile a giugno 1911 si ritira ancora una volta a Dangast; quindi, si reca a Lofthus in Norvegia per un mese, all’inizio di luglio, dove ammira le opere di Munch.

Karl Schmidt-Rottluff, Sole nella pineta, 1913

Alla fine di ottobre 1911, Schmidt-Rottluff decide di trasferirsi stabilmente da Dresda a Berlino. Intesse stretti contatti con il gruppo di artisti che si raccoglie attorno a Herwarth Walden. Sono, difatti, gli anni in cui Walden sviluppa la sua galleria d’arte e la rivista, che sotto il medesimo nome di Der Sturm fino agli anni Trenta del secolo divengono giustappunto il centro dell’Espressionismo, non solamente tedesco. Berlino è un cuore pulsante, piena di vita, una metropoli dinamica, che sa proporre le giuste stimolazioni che gli artisti vanno cercando. Nel 1912 conosce Franz Marc, anche lui a Berlino per selezionare opere da inserire nella seconda mostra del Blauer Reiter e le cerca pure fra gli artisti della Brücke. I contatti si moltiplicano: stringe rapporti con Else Lasker-Schüler, Alfred Mombert, Karl Sternheim. In questi mesi anche il tema del nudo, che in precedenza appariva specialmente in disegni e stampe, comincia a proporsi nella sua opera pittorica (Dopo il bagno, 1912). Con l’aiuto di contorni e strutture interne, i corpi sono modellati sulla tela (Ragazza alla toilette, 1912). Prende parte alla mostra Sonderbund di Colonia con tre dipinti: è qui che, impressionato dal lavoro di Pablo Picasso, gli elementi e le forme cubiste si riflettono nelle sue opere. Una tendenza che si fa strada ancora di più, quando conosce e comincia a frequentare assiduamente Lyonel Feininger, un pittore statunitense di origine tedesca, che gli fa apprezzare le aperture spaziali del Cubismo. Un esempio di questa influenza è Sole nella pineta, dipinto tra maggio e agosto del 1913. Infatti, proprio a maggio, dopo che la comunità degli artisti della Brücke ufficialmente viene sciolta, pensa di trascorrere l’estate con Pechstein a Niden, nella penisola di Neringa, una sottile striscia di terra di 98 chilometri che separa la laguna dei Curi dal Mar Baltico. Lontano da ogni civiltà, nascono nudi e paesaggi, dipinti, disegni, xilografie, in cui Schmidt-Rottluff può liberamente esprimere tutto il proprio stile personale, creando una grande sintesi tra espressione e forma. I nudi compaiono – a volte insolitamente proporzionati – nei grandi spazi aperti della natura (Tre nudi rossi, 1913). Sul finire del 1913 partecipa alla mostra della Nuova Secessione, a Berlino. Il suo amico Pechstein, proprio per le sue simpatie verso la Nuova Secessione e il Blauer Reiter era stato allontanato dalla Brücke. Ora ambedue sono liberi di intraprendere nuove strade.  

Karl Schmidt-Rottluff, Tre nudi rossi, 1913

Quando a marzo 1914 compare il primo articolo dedicato alla sua arte sulla rivista Kunst und Künstler siamo ormai alle porte della Grande guerra. Al deflagrare del conflitto Schmidt-Rottluff si ritira in privato, fino a quando non viene richiamato nel 1915 per svolgere il suo servizio militare in un battaglione di rinforzo nella Russia settentrionale. Prosegue, quando può farlo, le ricerche estetiche e si concentra sempre più sui temi figurativi, lasciando in secondo piano le rappresentazioni di paesaggi che tanto aveva prediletto nella sua pittura. Ora il paesaggio è solo quello sconvolto dalla guerra. Con l’uso persistente dei colori primari (blu, verde, rosso), in connessione con distorsioni di forme e stilizzazioni, crea la sua nuova visione del mondo. Lo possiamo percepire in Ragazza allo specchio (1915), tela che manifesta l’ansia e l’angoscia del pittore per la guerra. Un nudo che si riflette in un dualismo di linee diventate spigolose e irrequiete, che nulla hanno a che fare con le figure morbide e sensuali delle bagnanti dipinte negli anni precedenti. Un corpo smilzo e giallastro che si richiama alle sculture lignee africane ed oceaniche. Durante tutto il servizio militare, Schmidt-Rottluff intraprende, infatti, le sue prime opere scultoree, realizzando busti e maschere scolpite nel legno, nudi e figure vestite.

Karl Schmidt-Rottluff, Ragazza allo specchio, 1915
Karl Schmidt-Rottluff, Preghiera, bronzo, Musei Vaticani, 1918
Karl Schmidt-Rottluff, Christo e giuda, xilografia, Musei Vaticani, 1918

Nel 1917 i primi temi religiosi trovarono spazio nella sua opera (Adoranti, 1917). Esegue una serie di xilografie (I tre re, 1917) e prende a lavorare al portfolio Kristus, pubblicato a dicembre del 1918 da Kurt Wolff-Verlag, dopo che il pittore ha ottenuto finalmente il congedo dal servizio militare. Quando torna a Berlino, Schmidt-Rottluff è tra i firmatari del primo manifesto dell’Arbeitsrat für Kunst, il Consiglio dei lavoratori per l’arte, considerato un’anti-accademia di artisti tedeschi. Fra i membri trova molti dei suoi amici della Brücke: Erich Heckel, Otto Müller, Emil Nolde, Max Pechstein. Soprattutto, quando torna a Berlino, è intenzionato a mettere su famiglia, unendosi in matrimonio con la sua fidanzata di lunga data Emy Frisch.

Karl Schmidt-Rottluff, Progetto per un’aquila imperiale (Fonte DHM)

La strada che, a guerra finita, intravede per riprendere la propria attività pittorica quasi del tutto interrotta per quattro anni è quella di una religiosità pacata e maestosa, come dire una esplicita e solenne professione di fede. Naturalmente continua ad approfondire i temi delle sue composizioni e risponde ai bandi pubblici, rivolti agli artisti per ampie discussioni sul nuovo spirito della rinata Germania. Sono gli anni della cosiddetta Repubblica di Weimar (1918-1933), il sogno di stabilire una democrazia liberale, che non durerà a lungo, reso vano nel 1933 dall’ascesa al potere di Adolf Hitler e del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, che tutti conoscono come Partito nazista. Una proposta parlamentare di utilizzare nello stemma solo le iniziali “DR” per identificare la repubblica tedesca di Weimar, al posto dell’aquila imperiale, non è accettata. Così anche Schmidt-Rottluff risponde al bando per ridisegnare il simbolo dell’aquila. Non è affatto d’accordo, perché, come scrive, «l’opinione pubblica all’estero difficilmente perderebbe la buona occasione di utilizzare il disegno del nuovo stemma, in particolare la corpulenza invadente dell’animale araldico, per aprire ampie discussioni sullo spirito nuovo della nuova Germania». La xilografia di Schmidt-Rottluff non supera la selezione finale.

Karl Schmidt-Rottluff, Valle di dune con albero morto, 1937

Per tutti gli anni Venti, Schmidt-Rottluff passa le sue estati a Jershöft sulla costa baltica della Pomerania e i temi naturalistici tornano in primo piano: nei suoi dipinti compaiono operai, artigiani, contadini o pescatori, mostrati al lavoro (Fienagione, 1921). Fino al 1926 le forme si fanno più plastiche, poi la sua tavolozza di colori diviene più tenue e sommessa (Malve in casa, 1926). Espone in molte rassegne in Germania e all’estero. Viaggia in Francia e in Italia, dove viene nel 1923 con Georg Kolbe e Richard Scheibe. Nel 1930 trascorre un periodo a Roma come studente presso l’Accademia Tedesca a Villa Massimo. Il 1930, in particolare, è anche un anno drammatico, perché proprio nel periodo del suo maggior successo, le campagne diffamatorie dei nazionalsocialisti iniziano a diventare pesanti. Nonostante il fatto che nel 1931 sia nominato membro dell’Accademia Prussiana delle Arti, Schmidt-Rottluff preferisce lasciare la città e ritirarsi nel Mar Baltico. Tuttavia, l’oppressione politica, che si estende in Germania, irrimediabilmente tende a trasparire anche nelle tonalità di colore delle sue tele, che sempre più esprimono stati d’animo soffocanti (Valle di dune con albero morto, 1937) a testimonianza la sua solitudine. Dal 1933 tutto precipita: escluso dall’Accademia prussiana, radiato dall’unione arti e mestieri, 608 sue opere sono sequestrate dai musei tedeschi e ben 25 esibite al pubblico ludibrio nella mostra di Arte degenerata del 1937. Quattro anni dopo gli viene ingiunto di non dipingere, mentre dall’altra parte dell’Oceano, negli Stati Uniti, gli americani espongono i suoi lavori. Quando i dipinti il ​​20 marzo 1939 sono bruciati nel cortile della principale caserma dei vigili del fuoco di Berlino, anche molte delle sue opere vengono distrutte.

Per tutto il periodo del Secondo conflitto mondiale si ritira a Rottluff e Chemnitz, rinviando le sue creazioni a tempi migliori. Nel 1947 riceve la nomina a professore dell’Università di Belle Arti di Berlino, cosicché, tornata la voglia di spendere le proprie energie a favore dell’arte, riprende il lavoro sugli acquerelli di grande formato, per i quali Schmidt-Rottluff è conosciuto. Dà vita a numerosi quadri invernali in cui predominano stati d’animo sommessi (Paesaggio innevato, 1947, Luna e cancello del giardino, 1960). Dal 1964 circoscrive il suo raggio d’azione alle chine, agli acquerelli, ai pastelli, oltre a sviluppare un vasto lavoro grafico incentrato su xilografie e litografie. Non mancano disegni per mosaici, lavori su vetro, arazzi, oggetti di uso quotidiano e gioielli. Numerosi riconoscimenti e mostre hanno allietato i suoi ultimi anni e da parte sua ha ricambiato, compensando il mondo dell’arte con un lascito, nel 1964, per celebrare il gruppo di artisti con i quali ha condiviso la nascita dell’Espressionismo tedesco. La sua Fondazione Karl ed Emy Schmidt-Rottluff ha posto, difatti, le basi per l’apertura del Brücke Museum di Berlino, istituzione sotto la responsabilità del Dipartimento della Cultura. Solo tre anni dopo, il 15 settembre 1967, il museo ha trovato la sua sede stabile in un nuovo edificio progettato da Werner Düttmann nel quartiere berlinese di Dahlem.

Brücke-Museum di Berlino, nel quartiere di Dahlem. Il museo raccoglie una collezione di pittura espressionista tedesca del gruppo Die Brücke.
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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Erich Heckel: “Era chiaro per noi da cosa dovevamo allontanarci. Meno chiaro dove saremmo andati”

di Sergio Bertolami

32/3 – I protagonisti

Erich Heckel (Döbeln 1883 – Radolfzell 1970) è uno dei quattro fondatori della Brücke ed è considerato fra i principali rappresentanti dell’Espressionismo tedesco. Ha frequentato la scuola elementare a Olbernhau (1891-1895), la scuola secondaria a Freiberg (1896-1900), quindi il liceo classico a Chemnitz, dove si è diplomato nel 1904. In questo istituto, già dal primo anno, ha fatto amicizia con Karl Schmidt-Rottluff. I due giovani prendono a seguire i dibattiti del circolo letterario Vulkan, associazione di studenti appartenenti alle scuole superiori di Chemnitz. In questo modo possono conoscere i testi, molto attuali, di autori come Friedrich Nietzsche, Fjodor M. Dostojewski, August Strindberg e Henrik Ibsen. Approfittando del semestre estivo del 1904, Heckel si iscrive in architettura all’Università Tecnica di Dresda (Technische Hoschüle), stringendo amicizia, attraverso il fratello maggiore Manfred, con Ernst Ludwig Kirchner e Fritz Bleyl. Il 7 giugno 1905, Heckel, Kirchner, Bleyl e Schmidt-Rottluff, fondano a Dresda Die Brücke, che sugella fra i quattro una stretta collaborazione artistica. Heckel assume la segreteria della piccola comunità, anche perché l’atelier è allestito in un appartamento di proprietà dei suoi genitori, al 65 di Berliner Strasse nel quartiere Friedrichstadt. Insieme decidono di orientarsi verso nuove forme di espressione artistica. Diversamente da Kirchner, che abbandona l’architettura solo dopo avere sostenuto gli esami finali (1905), Heckel interrompe gli studi prematuramente. Come Kirchner, si concentra sull’introspezione psicologica e il senso doloroso dell’esistenza; come tutti i membri della Brücke, ama gli spazi aperti e sin dall’inizio della sua pittura cerca ispirazione nella natura. Il tema costante della sua pittura rimarrà sempre il paesaggio, frutto di meditate riflessioni quasi fosse la risultante di una concettuale elaborazione progettuale. Il gruppo s’impegna nei cosiddetti “quarti d’ora” (Viertelstundenakten) cioè su disegni veloci ed estemporanei, ma Heckel a differenza dei compagni, durante le escursioni in esterni, non traccia mai schizzi sul suo taccuino. Disegna a memoria, setacciando le immagini della realtà che ha impresso in memoria.

Erich Heckel ritratto da Ernst Ludwig Kirchner al cavalletto

L’arte di Erich Heckel è pacata. Non solo in pittura, ma anche nella grafica, priva di quel tratto irrequieto, a volte patologicamente eccitato che domina frequentemente le opere del suo amico Kirchner. Si dedica da subito alla litografia e all’incisione, tecniche di cui acquisisce presto padronanza. I personaggi rappresentati non sottendono un desiderio aggressivo, accusatorio, rivoluzionario. Queste figure riflettono, come i suoi paesaggi, l’essenza dell’uomo. Le persone che compaiono nelle grafiche sono mosse dalla pietà, piuttosto che dalla ribellione, dalla forza spirituale con la quale vivono ritirate, chiuse in sé stesse. Questo non significa affatto che la grafica di Heckel sia conciliante. Tutt’altro. Le sue xilografie sono rigorose, anche se esprimono il tentativo di ammorbidire il gioco aggressivo delle superfici bianche e nere con l’uso frequente del colore, ma non in modo pittorico. Heckel giungerà a colorare col pennello la tavola uscita in bianco e nero dalla stampa. Nella sua arte i contorni allungati, le sovrapposizioni ad angolo acuto e le pieghe, indicano atavici gesti di emozione silenziosa e di spiritualità antica, quasi gotica. Si può avvertirlo chiaramente negli autoritratti e nei ritratti, oppure nell’aspetto delle persone. Nelle opere grafiche come nella pittura. «Così quando nella sua pittura appare la figura umana questa è pervasa da un’inquietudine sottile, carica di un’energia segreta e vibrante. Allungata e nervosa, dai tratti marcati angolosi, esprime una spiritualità appagata e malinconica» (Lara-Vinca Masini).

Erich Heckel, Fränzi sdraiata, 1910

Heckel segue per intero l’esperienza della Brücke. Come segretario dell’associazione, è attento ai giudizi che compaiono sulla stampa, è sempre pronto a risolvere tutte le questioni pratiche che insorgono. Soprattutto costituisce l’elemento di equilibrio tra le differenti personalità che convivono all’interno del gruppo, specialmente quando nuovi componenti entreranno a farne parte. Per carattere è animato da un forte senso dell’amicizia, così si spende per favorire il sodalizio e la collaborazione fra gli artisti. S’incarica di organizzare le esposizioni collettive e rappresenta spesso i colleghi nelle trattative commerciali. Tutto ciò sin dall’inizio, da quando cioè, nell’autunno del 1905, gli artisti della Brücke espongono per la prima volta nella galleria d’arte PH Beyer & Sohn a Lipsia e la mostra si rivela un fallimento. Nel 1906, Max Pechstein, Emil Nolde e il pittore svizzero Cuno Amiet sono conquistati dalle idee della Brücke, e per un limitato periodo di tempo accettano di diventare membri della piccola comunità. Nello studio al 65 di Friedrichstadt a Dresda, Heckel realizza innumerevoli disegni, xilografie e dipinti, nonché le sue prime acqueforti. Ad agosto del 1906 il mercante d’arte Beyer osa ascoltarlo ancora una volta e lo lascia tentare un’altra mostra a Lipsia, nonostante il primo insuccesso. In ottobre organizza la prima vera esposizione della Brücke, che ha luogo negli showroom della fabbrica di lampade Karl-Max Seifert, progettata da Wilhelm Kreis a Dresda-Löbtau. In qualità di segretario, delegato dagli altri soci, Heckel cerca contatti con collezionisti, mercanti d’arte ed esperti di musei, esplora ogni possibilità espositiva e recluta altri membri che possano portare linfa vitale, perché è convinto che l’idea per riuscire è fare gruppo. Questo lo porta a stringere amicizia con il direttore del tribunale distrettuale di Amburgo, nonché collezionista d’arte, Gustav Schiefler, che Heckel probabilmente conosce attraverso Karl Ernst Osthaus, al tempo direttore e fondatore del Museo Folkwang di Hagen (lo stesso museo che oggigiorno dedica un ampio spazio all’artista). Schiefler diviene uno dei “membri passivi” della Brücke, ovvero quel gruppo di sostenitori che mantiene finanziariamente le attività dell’associazione. Nel 1907, abbandona definitivamente il lavoro tecnico nello studio di architettura di Kreis, che finora gli è servito a sostentarsi, per dedicarsi interamente ai propri interessi artistici.

Erich Heckel, Fornace (Dangast), 1907

Oltre alla serie di xilografie per Oscar Wildes, stampa le prime litografie che chiama Ballata dal carcere di Reading. Nell’estate del 1907, si ritira insieme a Schmidt-Rottluff, per la prima volta e per diversi mesi, a Dangast. Una produzione più concentrata porta all’accrescimento dell’attività espositiva. A tale scopo vengono allestite diverse raccolte di quadri degli artisti della Brücke, che potrebbero essere considerate come vere e proprie mostre itineranti in tutta la Germania e la Svizzera. Il primo soggiorno del 1907 a Dangast, ospite di Schmidt-Rottluff, segna un momento fondamentale della sua formazione. È qui che supera alcune incertezze stilistiche giovanili. Le tele sul cavalletto, in questi mesi restituiscono un disegno sommario, un uso aggressivo e acceso dei colori. Vogliono ricordare le ultime opere di Van Gogh, con la sua pennellata materica, vivace, circolare. Lo possiamo vedere in Fornace del 1907, ma non è ancora l’Erich Heckel, che impareremo a conoscere già dall’anno successivo, quando torna a Dangast e comincia ad addolcire linee e contrasti, più in sintonia con il suo carattere riservato, introverso, inquieto. I viaggi di questi anni gli offrono spunti opportuni per la sua evoluzione creativa. Come quello che compie nella primavera del 1909 in Italia. Un lungo itinerario di studio, dove visita Verona, Padova, Venezia, Ravenna, Rimini, Firenze, Roma, e dove apprezza la semplicità e la severità dell’arte etrusca, rimanendo colpito dalle bellezze dei nostri paesaggi collinari (Paesaggio vicino Roma, 1909).

Erich Heckel, Bagnanti tra i canneti, 1909

La sua pittura sembra distendersi, assumendo ampiezza e serenità fino a raggiungere, negli anni, una trama più astratta, forme più semplici e precise, distinte da regolarità geometriche e trasparenze coloristiche chiare e luminose. Nei mesi estivi tra il 1909 e il 1911, Heckel e Kirchner, e in seguito anche Pechstein, si ritrovano a dipingere sui laghi di Moritzburg per realizzare una serie di nudi nella natura. In ottobre, sempre con Kirchner ad Amburgo visita il collezionista d’arte e mecenate Gustav Schiefler. L’attività comincia a marciare, tanto che nel 1910 occorre cercare un nuovo studio a Dresda, vicino alla stazione ferroviaria principale (An der Falkenbrücke 2a), dove il gruppo si trasferisce. Il 1910 è pure l’anno in cui conosce, ed associa, Otto Müller che lo porterà a stringere amicizia anche con Feininger, Macke, Marc, i quali sono entusiasmati dal Cubismo Orfico di Delaunay. Sono esperienze alternative, che portano Heckel ad elaborare nuove idee, ben più aderenti all’altro gruppo col quale si è aperto un dialogo creativo, il Blaue Reiter. Scrive nel 1910: «Era chiaro per noi da cosa dovevamo allontanarci. Meno chiaro era dove saremmo andati». Ciò che più conta nella vita di un uomo, il 1910 è l’anno in cui incontra la ballerina Milda Frida Georgi, soprannominata Siddi. Sarà sua modella, ispiratrice, compagna e infine moglie, perché con lei si unirà in matrimonio il 19 giugno 1915. Tra i numerosi ritratti a lei dedicati troviamo quello del 1913, pregevole per l’intensità dello sguardo della donna e l’attento dosaggio delle luci.

Erich Heckel, Donna sdraiata (Ritratto di Siddi), 1913

Nell’autunno del 1911, Heckel da Dresda si trasferisce nella capitale, e rileva lo studio di Müller a Berlino-Steglitz (Mommsenstrasse 66, oggi Markelstrasse). Vi organizza il suo atelier e la sede della stessa Brücke, perché alla fine dell’anno anche Kirchner arriva a Berlino, così l’originario nucleo di artisti si trova di nuovo riunito. Pur tuttavia, l’orientamento stilistico sembra ormai cambiato, rispetto alla reciproca ispirazione della prima fase espressionista, quella sperimentata durante i soggiorni estivi di Moritzburg. Kirchner è attratto dal tema della metropoli che raffigura nella serie degli Straßenbilder (Scene di strada, 1913). Heckel, al contrario, ama interpretare con un ampio respiro spaziale, il paesaggio naturale, non certo quello urbano, visto da Kirchner come luogo del pericolo, della solitudine, dell’alienazione. I motivi abbozzati insieme, mutuati dall’ambiente circostante (come scene di strada, vaudeville, danza, circo, nudi in studio) oppure dalla natura (paesaggi, scene di bagni) sono interpretati da Heckel in modo del tutto personale. Utilizza colori ad olio fortemente diluiti con trementina o benzina allo scopo di restituire espressioni spontanee. In verità, per Heckel la tecnica dell’acquerello sta acquisendo una importanza crescente. In occasione della mostra Sonderbund di Colonia, Kirchner ed Heckel sono incaricati di dipingere una cappella costruita appositamente e adornata con vetrate artistiche ideate da Jan Thorn-Prikker. A Berlino, inoltre, si tengono spesso serate con letture ed ecco allora che nelle opere di Heckel si riscontrano riferimenti a Dostoevskij (Due uomini al tavolo, 1912). Però, invece dei colori contrastati, accesi e puri che utilizzava negli anni di Dresda, ora preferisce toni misti, tenui e terrosi. La scelta dei temi e delle immagini di questo periodo trasmettono per lo più uno stato d’animo cupo.

Erich Heckel, Due uomini al tavolo, 1912

A primavera del 1913, si ritira a Caputh vicino a Potsdam, e a maggio – il 27 maggio 1913 per la precisione – la comunità della Brücke si scioglie risolutivamente. Ora è libero da ogni impegno di gruppo. Dalla metà del mese di giugno 1913, trascorre l’estate prima nella casa per le vacanze di Mellingstädt vicino ad Amburgo, ospite di Schiefler, il collezionista e mecenate che ha sempre aiutato la loro comunità di artisti. Poi con Siddi si sposta a Osterholz, sul fiordo di Flensburg. Durante una gita in barca individua una spiaggia nei pressi della cittadina, che ritiene perfetta per ambientarvi una serie di nudi in riva al mare, come ad esempio Bagnanti che dipingerà l’anno successivo quando tornerà a Osterholz. Da un carpentiere locale, un certo Peter Hansen, affitta una vecchia casa, che usa come studio, e che nel 1918, a guerra conclusa, deciderà di comprare. A Berlino riesce ad aprire presso la galleria di Fritz Gurlitt la sua prima mostra personale. Nel 1914, nell’ambito della esposizione Werkbund a Colonia, Heckel dipinge le stanze del Rheinisches Kunstsalon di Otto Feldmann, visita Heinrich Nauen a Dilborn sul Basso Reno in primavera e viaggia in Olanda e Belgio.

Erich Heckel, Bagnanti in spiaggia, 1913

Ma la guerra ormai non lascia più spazio all’arte. È impegnato in un corso come infermiere volontario presso la Croce Rossa di Berlino e qui ha modo di fare amicizia con Franz Pfempfert, l’editore di Aktion. In qualità di paramedico, viene mandato di stanza nelle Fiandre (Roeselare e Ostenda), dove ha modo d’incontrare Max Beckmann e James Ensor, che esercitano su di lui grande attrazione. In una lettera a Gustave Schiefler, dalle Fiandre, a Natale del 1915, scrive: «Come sono contento di dipingere. Per i soldati è molto bello; quanto rispetto, e anche amore per l’arte, c’è negli esseri umani, nonostante tutto, e chi avrebbe mai pensato che il mio stile, che sembrava così moderno e incomprensibile a critici e pubblico, nelle mostre marce delle città, ora potrebbe parlare e trasmettere qualcosa agli uomini a cui ne faccio dono». In numerose xilografie raffigura soldati e marinai feriti, affidati alle sue cure.

Erich Heckel, Due feriti, 1915, stampa xilografica su carta

Nel 1918, quando riprende l’attività d’artista a guerra conclusa, ritorna a Berlino, dove, sotto l’influenza decisiva di Pfempfert, viene fondato l’Arbeitsrat für Kunst ovvero il Consiglio dei lavoratori per l’arte, importante per i contatti tenuti con il Novembergruppe – fondato a dicembre del 1918 e nel quale l’artista entra, anche se per breve tempo – e il Deutscher Werkbund. il Consiglio dei lavoratori per l’arte riunisce architetti, pittori, scultori e scrittori d’arte, all’insegna di un programma preciso: «L’arte e le persone devono formare un’entità. L’arte non deve più essere un lusso di pochi, ma deve essere goduta e vissuta dalle grandi masse. L’obiettivo è un’alleanza delle arti sotto l’ala della grande architettura». Oltre a Heckel, tra i membri fondatori troviamo anche Nolde, Ludwig Meidner, Pechstein, e tanti altri ancora.

Erich Heckel, Ritratto di un uomo (autoritratto), 1919 xilografia a colori

Lo scenario è ormai cambiato. Heckel riprende a dipingere. Nelle nuove immagini si può osservare come il suo linguaggio formale sia mutato: si è gradualmente quietato, le linee si sono ancora ammorbidite e qua e là emergono tendenze astratte. Intraprende anche un intenso lavoro adoperando la tecnica dell’incisione su legno (Autoritratto, 1919). Nel 1923 Israel Beer, mercante d’arte berlinese, organizza la più importante mostra sul suo lavoro grafico, rimasta ad oggi insuperata. Heckel non è un tipo sedentario, in questi anni fra le due guerre, compie molti viaggi e sviluppa amicizie, sia in Germania che all’estero: in Svizzera, Francia, Inghilterra, Danimarca, Svezia, Spagna e Italia. Durante questi suoi viaggi dipinge composizioni per lo più di grandi dimensioni: sono ancora paesaggi montani e costieri (Paesaggio di dune a Sylt, 1931), ma anche paesaggi urbani. Tutto questo fino a metà degli anni Trenta, quando da parte dei nazionalsocialisti, che lo dichiarano nientemeno pervertito, gli viene vietato di esporre. Nel 1937 a proposito della mostra di Arte degenerata, 729 opere sono rimosse dai musei e confiscate, molte delle quali distrutte o vendute all’estero per il tornaconto del partito nazista. Nel 1944, durante il secondo conflitto mondiale, il suo atelier di Berlino (Emser Straße 21), dove avevano lavorato spesso insieme i componenti della Brücke, è distrutto da un bombardamento e gran parte del suo lavoro si perde tra le fiamme, in particolare i disegni, tutti i suoi blocchi per la stampa delle xilografie e molta produzione grafica. Così a maggio di quell’anno preferisce trasferirsi a Hemmenhofen sul Lago di Costanza, dove rimarrà fino al 1949, quando è nominato all’Accademia di Belle Arti di Karlsruhe, dove insegnerà fino al 1955. Da allora si ritira in Engadina e, salvo brevi viaggi, trascorre gli ultimi anni sempre dipingendo. Torna ai temi pittorici familiari e completa tranquillamente le sue composizioni equilibrate.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

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Blogroll, lo sapete, va in giro sul web a trovare siti interessanti, che condividono i nostri orientamenti riguardo a certe preziose collezioni. Per il primo giorno di questo nuovo anno abbiamo visitato il portale digitale The Newberry. Qui abbiamo trovato libri, prime edizioni, manoscritti, mappe e altri materiali relativi al vecchio o al nuovo continente. Dalla sua fondazione nel 1887 ad oggi, il Newberry è impegnato a promuovere la ricerca e a incentivare l’apprendimento. «Quando le persone interagiscono con le collezioni e il personale Newberry – affermano con orgoglio – scoprono storie che collegano passato e presente e illuminano la condizione umana». Non potrebbe essere altrimenti. Il Centro Studi conserva, infatti, circa 1,6 milioni di libri, 600.000 mappe e 5 milioni di pagine manoscritte. In altre parole, sei secoli di storia umana, dal Medioevo ai giorni nostri, possono essere presi in considerazione, facendo riferimento alle varie collezioni. Una notevole documentazione culturale, che permette di mettere in contatto ricercatori e visitatori interessati alle sale di lettura, alle gallerie espositive, ai programmi d’insegnamento sviluppati in seminari accademici, e nel nostro caso incuriositi anche dalle risorse digitali disponibili online. Oggi, che è un giorno di festa, proponiamo però un utilizzo meno impegnativo di questo portale. Un utilizzo più adatto alla ricorrenza: inviare una cartolina agli amici! Da questa pagina è possibile visualizzare immagini tratte dalla collezione digitale di Newberry Postcards, per compilare e inviare via e-mail una cartolina d’epoca. Basterà inserire il Messaggio di testo, il Nome del mittente, la E-mail del mittente, il Nome del destinatario e infine la E-mail del destinatario. Nei prossimi giorni, tornate sul sito e, partendo dalla Home, potrete continuare a osservare le migliaia di cartoline raccolte nell’archivio: cartoline di viaggio, documenti di famiglia, pubblicità aziendali. Oppure potrete immergervi in studi più approfonditi. Da tutti noi di Experiences Buon Anno Nuovo.

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