William Holman Hunt – Isabella e il vaso di basilico

Isabella e il vaso di basilico, 1868, Laing Art Gallery, Newcastle upon Tyne

IL DIPINTO

Isabella e il vaso di basilico (Isabella and the Pot of Basil) è un dipinto a olio su tela (187×116 cm) del pittore preraffaellita William Holman Hunt, realizzato nel 1868 e conservato alla Laing Art Gallery di Newcastle upon Tyne. Il soggetto di questo dipinto, realizzato da Hunt a Firenze, è esplicitamente desunto dal poema di John Keats Isabella, or the Pot of Basil, a sua volta ispirato da una novella del Decameron di Giovanni Boccaccio. Qui si narra di una sfortunata donna che, seppur destinata a sposare un ricco gentiluomo, si innamora di Lorenzo, un ragazzo che – essendo di bassa estrazione sociale – viene ucciso dai fratelli di lei. Egli torna tuttavia sotto forma di spettro per rivelare all’amata il luogo in cui è sepolto; Isabella lo dissotterra e, per conservarne il ricordo, gli taglia la testa e la nasconde in un vaso, per poi coprirlo con una profumatissima pianta di basilico.

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Autoritratto, 1867, Collezione di autoritratti agli Uffizi, Firenze

L’ARTISTA

William Holman Hunt, nome d’arte di William Hobman Hunt (Londra, 2 aprile 1827 – Londra, 7 settembre 1910), è stato un pittore inglese, cofondatore della Confraternita dei Preraffaelliti. William Hobman Hunt – solo dopo l’artista cambiò il suo secondo nome in Holman – nacque a Londra il 2 aprile 1827. Inizialmente venne avviato alla pratica commerciale; resosi conto della propria vocazione artistica, tuttavia, abbandonò il mondo del commercio per dedicarsi agli studi pittorici alla National Gallery e al British Museum. Nel 1844 fu ammesso alla scuola della Royal Academy, dove strinse amicizia con Dante Gabriel Rossetti e John Everett Millais; in accordo con essi, fondò la confraternita dei preraffaelliti nel 1848. Il gusto preraffaellita emerge in una delle sue primissime opere, Rienzi, esposta nel 1849 alla Royal Academy.

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John Everett Millais – Ophelia

Ophelia, 1851-1852, Tate Gallery, Londra

IL DIPINTO

Ophelia è un dipinto a olio su tela (76.2×111.8 cm) del pittore preraffaellita John Everett Millais, realizzato nel biennio 1851-1852 e appartenente alla collezione della Tate Gallery di Londra. La tela si ispira al personaggio di Ofelia, uno dei protagonisti dell’Amleto di William Shakespeare. A dare avvio alla tragedia shakesperiana vi è l’improvvisa apparizione dello spettro del padre di Amleto che, rivelando l’autore dell’omicidio, il fratello Claudio, chiede al figlio vendetta. Amleto quindi rimanda l’azione fingendosi pazzo: lo squilibrio viene attribuito all’amore che egli nutre per Ofelia, figlia del ciambellano Polonio (la giovane, effettivamente, era stata già in passato bersaglio delle mire amorose di Amleto). La follia di Amleto lacera nel profondo la fanciulla: Amleto, per proseguire il proprio intrigo, non esita infatti a insultare impudentemente la pur amata Ofelia. La situazione precipita quando, inscenato dinanzi a Claudio il dramma dell’omicidio perpetrato ai danni del re, Amleto uccide Polonio. Ofelia è ormai incapace di ragionare assennatamente in seguito alla morte del padre e, disgraziatamente, muore annegando in un ruscello.

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John Everett Millais

L’ARTISTA

Sir John Everett Millais, RA (Southampton, 8 giugno 1829 – Londra, 13 agosto 1896), è stato un pittore e illustratore inglese dell’età vittoriana, cofondatore della Confraternita dei Preraffaelliti. John Everett Millais nacque l’8 giugno 1829 a Southampton, in Inghilterra, figlio di John William e Emily Mary Millais, entrambi appartenenti a una ricca famiglia nativa del Jersey. Fu proprio sull’isola di Jersey, d’altronde, che Millais trascorse la sua prima fanciullezza, maturando una vera e propria devozione per questo luogo: quando un giorno William Makepeace Thackeray, noto scrittore inglese dell’Ottocento, gli avrebbe chiesto «quando l’Inghilterra conquistò Jersey», egli avrebbe risposto con veemenza: «Giammai! Jersey conquistò l’Inghilterra». Altrettanto contagiosa fu l’influenza della madre, donna dalla personalità energica e decisa e animata da un gusto contagioso per l’arte e la musica. Mamma Emily avrebbe dato un impulso decisivo al talento artistico del figlio, e fu proprio lei a spingere affinché la famiglia si trasferisse a Londra, così da consentire ai figli la prosecuzione degli studi. Millais avrebbe poi affermato: «devo tutto a mia madre». Bambino prodigio, Millais studiò dapprima alla Sass’s Art School per poi entrare alla Royal Academy of Arts, dove viene ammesso a undici anni come più giovane allievo di sempre. Qui, oltre a ricevere diversi riconoscimenti per il suo lavoro, strinse amicizia con i pittori William Holman Hunt e Dante Gabriel Rossetti, e con essi nell’autunno del 1848 fondò la Confraternita dei Preraffaelliti (Pre-Raphaelite Brotherhood). In seno alla Confraternita Millais intendeva riscoprire l’arte dei primitifs e dei quattrocentisti, non ancora contaminati dalla maniera di Raffaello, e ricondurre le proprie pitture a una schietta espressività religiosa.

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Pierre Bonnard – Sala da pranzo in campagna

Sala da pranzo in campagna, 1913, Institute of Arts, Minneapolis

IL DIPINTO

Sala da pranzo in campagna è un dipinto del francese Pierre Bonnard, un olio su tela di 168 × 204 cm, realizzato nel 1913. È conservato nell’Institute of Art di Minneapolis. L’interno della sala da pranzo è arredato con un tavolo rotondo con due piatti sulla tovaglia celeste, un tavolino con un vaso di papaveri, dello stesso colore rosso delle pareti della stanza, ed una poltrona con un gatto bianco. La sala da pranzo si apre, tramite una porta celeste ed una grande finestra, sul giardino, ricco di fiori e piante variopinti. Alla finestra è affacciata la moglie del pittore, ritratta con un vestito rosso acceso mentre guarda all’interno.

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Ritratto fotografico di Pierre Bonnard

L’ARTISTA

Pierre Bonnard (Fontenay-aux-Roses, 3 ottobre 1867 – Le Cannet, 23 gennaio 1947) è stato un pittore francese. Figlio di un funzionario ministeriale, dopo il diploma in legge decide di dedicarsi alla pittura: a Parigi, nel 1888 segue i corsi dell’Accademia Julian e dell’Ecole des Beaux-Arts. In questo periodo conosce artisti come Paul Sérusier, Maurice Denis, Paul Ranson, Édouard Vuillard e Ker-Xavier Roussel, con i quali forma il gruppo dei Nabis (dall’ebraico nabiim, che significa profeti, ispirati) e con i quali espone al Salon des Indépendants a partire dal 1891. Il gruppo degli artisti Nabis nasce ufficialmente nell’ottobre del 1888, quando Paul Sérusier mostra loro un piccolo olio, un paesaggio dipinto a Pont-Aven sul coperchio di una scatola di sigari (conservato oggi al Musée d’Orsay di Parigi), eseguito secondo i consigli di Paul Gauguin: viene considerato il “talismano” e diventa il simbolo del gruppo.

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Odilon Redon – Il carro di Apollo

Il carro di Apollo, 1909, Musée des Beaux-Arts, Bordeaux

IL DIPINTO

Il carro di Apollo (Le char d’Apollon) è il nome di varie opere realizzate dal pittore simbolista francese Odilon Redon tra il 1905 e il 1914 circa. Nel 1878, visitando l’Esposizione universale di Parigi, Redon restò colpito dal Fetonte di Gustave Moreau, un grande acquerello preparatorio per la decorazione di un soffitto, rimanendo sedotto dalla luminosità abbagliante, dalle linee divergenti, dalla forza dei colori. In tarda età, dal 1904 al 1914 circa, Redon si confrontò con il soggetto mitologico del Carro del Sole di Apollo, realizzandone varie versioni, in cui l’eco dell’opera di Moreau si manifesta vivamente.

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Autoritratto, 1867. Museo d’Orsay, Parigi

L’ARTISTA

Bertrand-Jean Redon, meglio conosciuto come Odilon Redon (Bordeaux, 20 aprile 1840 – Parigi, 6 luglio 1916), è stato un pittore e incisore francese. È considerato il maggiore rappresentante del simbolismo in pittura. Bertrand-Jean Redon, chiamato Odilon dal nome della madre, nacque in una famiglia benestante il 20 aprile 1840 a Bordeaux, da Bertrand Redon e Marie-Odile Guérin, secondogenito di cinque figli: Ernest, Odilon, Marie, Leo e Gaston. Ernest di pochi anni più grande, musicista e bambino prodigio che Odilon sentiva suonare dalla culla, Gaston, nato nel 1853, in un primo tempo si dedicò alla pittura, poi diventò architetto del Louvre e delle Tuileries. A causa della sua costituzione gracile Odilon, ad appena due giorni di vita, venne affidato alle cure di una nutrice e del suo zio nella proprietà familiare di Peyrelebade, nella campagna del Médoc, dove trascorse la maggior parte della sua infanzia, lontano dai suoi genitori. Nel 1846, dopo più di un anno di una grave malattia che gli provocava crisi di tipo epilettico, venne portato in pellegrinaggio alla Madonna di Verdelais, dove verrà condotto altre due volte, fino ai dieci anni ed il suo caso rientra tra le 133 guarigioni miracolose avvenute in quel luogo tra il 1819 e il 1883. Questo fatto venne annotato nell’apposito registro della basilica, pertanto possiamo sapere che Odilon aveva “una malattia molto grave che provocava nel cervello del bambino numerose crisi quotidiane di tipo epilettico, che lasciavano momenti di assenza morale” e che nel 1850 fu ancora a Notre Dame di Verderais per ringraziare la Madonna ed attestare la guarigione. Redon dal 1851 iniziò a vivere con la sua famiglia. I medici, a causa della sua fragilità fisica e psicologica, sconsigliarono per Odilon qualsiasi “sforzo cerebrale”; perciò non verrà mandato a scuola ed inizierà gli studi più tardi.

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Fernand Khnopff – Le carezze

Fernand Khnopff, Le carezze, 1896, Musées Royaux des Beaux Arts de Belgique, Bruxelles

IL DIPINTO

Le carezze, anche noto come La sfinge, è un dipinto del pittore belga Fernand Khnopff, realizzato nel 1896 e conservato al Museo reale delle belle arti del Belgio di Bruxelles. Nel repertorio figurativo simbolista un ruolo di primaria importanza viene giocato dalla Sfinge. Il suo volto è femminile, eppure il suo corpo è leonino: così come la fisionomia anche la sua psiche risponde a un’ambiguità di fondo, essendo al tempo stesso ingegnosa ma crudele, mitica ma demoniaca, con una lacerante ambivalenza del tutto analoga a quella che scuote l’inconscio umano.
Questa profonda riflessione filosofica viene venata di dichiarati compiacimenti simbolisti. Dipinto ermetico, irto di ellissi comunicative e di simbolismi di difficile interpretazione, Le carezze propone un’improbabile unione tra un giovinetto dai lineamenti androgini e una creatura dal volto femmineo e dal corpo di ghepardo. Si tratta ovviamente della Sfinge, quella creatura terrificante che secondo la mitologia aveva portato il terrore e la morte a Tebe. Era infatti sua abitudine divorare quanti non sapessero rispondere al suo astuto enigma («Qual è quell’animale che all’aurora cammina con quattro zampe, al pomeriggio con due, la sera con tre?»). L’unico ad aver sciolto l’enigma e ad aver soggiogato la bestia fu l’eroe greco Edipo: la città di Tebe fu così finalmente liberata dalla Sfinge che, per disperazione, si suicidò gettandosi in un baratro. Alla luce di quest’esegesi il giovane uomo ritratto alla sinistra della composizione è certamente Edipo.
L’opera di Khnopff, in effetti, risponde perfettamente al celebre mito greco, e raffigura il momento successivo alla risoluzione dell’enigma da parte di Edipo. Vi è, tuttavia, una leggera discrepanza. La Sfinge, infatti, non si è precipitata nel dirupo, così come narra il mito, bensì decide di sottomettersi all’eroe che l’ha domata e, con fare suadente e insinuante, avvicina il suo volto a quello di Edipo. La sua soddisfazione è palpabile: una delle sue zampe arriva persino a lisciare affettuosamente il ventre indifeso di quella che doveva essere un’altra sua vittima, scampata miracolosamente alla morte. La Sfinge, tuttavia, è ben lungi dal diventare schiava, e la coda all’erta tradisce un’eccitazione animalesca, quasi incontrollabile: anche le sue zampe sono pronte per scattare repentinamente in un balzo e attaccare il suo presunto amante.

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Fotografia di Fernand Khnopff scattata agli scorci dell’Ottocento e comparsa sulla rivista La Belgique d’aujourd’hui

L’ARTISTA

Fernand Edmond Jean Marie Khnopff (Grembergen-lez-Termonde, 12 settembre 1858 – Bruxelles, 12 novembre 1921) è stato un pittore belga, appartenente al movimento del simbolismo. Fernand Khnopff è accreditato tra gli interpreti più sensibili e visionari del Simbolismo europeo. La sua esperienza pittorica, innanzitutto, si configura come un netto rifiuto al Positivismo, indirizzo di pensiero animato da innumerevoli filosofi, letterati e scienziati che, intrigati dagli impetuosi sviluppi della società industriale, nutrivano un’appassionata fiducia nei risultati e nel metodo della scienza sperimentale. Quest’esaltazione della scienza e dei suoi metodi si concretizzava anche in una netta svalutazione della metafisica, dottrina che – facendo appello a cause non rapportabili al metodo scientifico – era secondo il giudizio dei Positivisti astratta, chimerica, e pertanto portatrice di una conoscenza tutt’altro che autentica. «Niente più metafisica!» («Keine Metaphysik mehr!») era il grido che, risentendo di questa grande ripresa positivistica, risuonava nell’Europa di quegli anni.
Khnopff, ripudiando la mentalità positivista, si fa invece cantore di una nuova sensibilità, non più oppressa da una cieca e ingenua fede nella scienza: il filo conduttore dell’estetismo di Khnopff, infatti, si basa sull’esaltazione delle componenti soggettive dell’animo umano e della realtà, per niente priva di proiezioni spirituali o metafisiche (come invece sostenevano i Positivisti). Khnopff oltrepassa infatti le schematizzazioni positiviste e rivendica quelle dimensioni che sfuggivano all’indagine delle scienze sperimentali: mondi sovrannaturali, arcani, che si celano dietro la trapunta arabescata delle apparenze e che sono penetrabili solo dall’artista, il quale grazie a intuizioni misteriose e folgoranti riesce a cogliere le corrispondenze sotterranee tra i vari fenomeni sensibili, non percepibili attraverso quella razionalità tanto celebrata dai Positivisti. Fernand Khnopff, infatti, è uno dei cantori più riusciti del Simbolismo: «né religiosa, né cristiana, né mitologica, la pittura di Khnopff è piuttosto simbolica» disse in tal senso Edmond-Louis De Taeye nel 1898.

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James Ensor – L’entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889

L’entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889, 1888, Getty Museum, Los Angeles

IL DIPINTO

L’entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889 (conosciuto anche semplicemente come L’entrata di Cristo a Bruxelles, in francese L’Entrée du Christ à Bruxelles) è un quadro dipinto nel 1888 James Ensor, considerato il miglior lavoro dell’artista belga nonché un precursore dell’espressionismo. Per la sua natura, considerata blasfema, il dipinto fu rifiutato dai Les XX ed Ensor fu costretto nel corso della sua vita ad esporlo nel proprio studio. Fu esibito dal Koninklijk Museum voor Schone Kunsten dal 1947 al 1983 e dal Kunsthaus di Zurigo dal 1983 al 1987; nel 1976 venne spostato temporaneamente all’Art Institute of Chicago e al Museo Guggenheim di New York per una retrospettiva.
Il dipinto si trova attualmente in mostra permanente presso il Getty Center di Los Angeles. L’opera è una delle tre realizzazioni artistiche scelte da Stefan Jonsson per spiegare la storia della democrazia e del socialismo nel periodo a cavallo tra i secoli XIX e XX e come “le masse” erano percepite in questa fase storica.

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James Ensor ritratto da Henry De Groux nel 1907

L’ARTISTA

James Sidney Edouard, Barone di Ensor (Ostenda, 13 aprile 1860 – Ostenda, 19 novembre 1949) è stato un pittore e incisore belga. Introverso e misantropo, trascorse gran parte della sua vita nella sua città natale, dedicandosi ad una pittura che fu una delle manifestazioni più significative del periodo e che si pose al centro della cultura del tempo. Nel 1877 s’iscrisse all’Accademia di belle arti di Bruxelles, dove rimase fino al 1880, entrando in contatto con gli ambienti anarchici e intellettuali della città e dove, nel 1881, tenne la prima mostra personale.
Le opere di questo periodo, che arrivò fino al 1885 circa, formano il cosiddetto periodo scuro, in cui i colori sono profondi e cupi, con una luce attenuata ma vibrante; in questo si vede l’influenza del naturalismo tipico della tradizione fiamminga e dei realisti francesi, in particolare di Gustave Courbet. I temi preferiti si rifanno alla tradizione fiamminga: nature morte, ritratti, interni borghesi intimi e malinconici, paesaggi dall’orizzonte piatto e basso, con una luce suggestiva che ricorda William Turner. Queste opere si avvicinano parzialmente all’impressionismo di Édouard Manet, di Edgar Degas e di Claude Monet, senza tuttavia arrivare all’ariosa immediatezza, all’abbandono alla natura, alla luminosità che sfalda la forma.

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