Pablo Picasso – L’uomo che di ogni opera faceva un monumento

 

Scrivevamo che FLIP è un angolo di Experiences dove mettere in risalto alcune buone letture; oggi aggiungiamo anche le buone visioni (quelle filmiche, naturalmente). È in televisione la seconda serie di “Genius”. Dopo Einstein, National Geographic racconta, infatti, uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Parliamo di Picasso, la cui biografia televisiva è in onda dal 10 maggio su National Geographic Channel. La serie s’incentra su due momenti dell’esistenza del pittore: la giovane età (grosso modo protratta ai 40 anni) interpretata da Alex Rich, e la maturità (dai 40 ai 92 anni) che vede quale protagonista credibile e convincente Antonio Banderas. Una particolarità, a margine: Pablo Picasso e Antonio Banderas sono ambedue nati a Malaga e l’attore, per sua stessa testimonianza, sembra che abbia in più occasioni rifiutato d’interpretare il ruolo, per deferenza nei confronti del grande “genio” spagnolo. Naturalmente, non c’è alcun bisogno di spiegare chi sia Picasso. Ovunque si appella come “padre del cubismo”. In verità, la svolta cubista si verificò tra il 1906 e il 1907, influenzato dalla retrospettiva sulla pittura di Cezanne, scomparso in quel periodo, e  dalla scultura africana, riscoperta di quell’esotico primitivismo che aveva affascinato Gauguin e tanti dopo di lui. Nel 1907 diede vita a «Les demoiselles de Avignon» che contrassegnò l’inizio della stagione cubista di Picasso, che strinse un intenso sodalizio artistico con George Braque. Le loro opere di questi anni sono sovente indistinguibili. La fase cubista dell’artista malaguegno durò pressappoco dieci anni, ma tanto bastò perché la sua fama raggiungesse un livello impensabile. Molte sono state, in realtà, le aree di sperimentazione artistica di Picasso, che espresse anche attraverso l’impegno civile. Basti pensare all’Esposizione Mondiale di Parigi del 1937, e alla sua interpretazione dell’eccidio di «Guernica», presentato in mostra nel Padiglione della Spagna. Il dipinto rappresenta, infatti, una delle opere più simboliche di tutto il Novecento.

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L’attore nei panni del grande artista nella serie tv ‘Genius’ 

PABLO RUIZ Y PICASSO, semplicemente noto come Pablo Picasso (Malaga, 25 ottobre 1881 – Mougins, 8 aprile 1973) è stato un pittore, scultore e litografo spagnolo di fama mondiale, considerato uno dei protagonisti assoluti della pittura del XX secolo. Snodo cruciale tra la tradizione ottocentesca e l’arte contemporanea, Picasso è stato un artista innovatore e poliedrico, che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte mondiale per esser stato il fondatore, insieme a Georges Braque, del cubismo. Dopo aver trascorso una gioventù burrascosa, ben espressa nei quadri dei cosiddetti periodi blu e rosa, a partire dagli anni venti del Novecento conobbe una rapidissima fama: tra le sue opere universalmente conosciute Les demoiselles d’Avignon (1907) e Guernica (1937). (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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NATIONAL GEOGRAPHIC

Antonio Banderas è Pablo Picasso nella seconda stagione di “Genius”

Michelangelo Buonarroti – Era mancino ma lavorava con la destra

 

La conferma che Michelangelo fosse mancino viene da un libro: la biografia del maestro scritta Raffaello da Montelupo, suo assistente. Vi si racconta come cercasse abitualmente di adoperare la mano destra, salvo che nelle azioni di forza. In realtà Michelangelo nascondeva la propria natura per via dei pregiudizi che al tempo screditavano i mancini. La sinistra era considerata la mano del diavolo – dipinto nelle iconografie medievali con due arti identici e non speculari – quindi la sinistra era la mano «sbagliata», che predisponeva all’eresia e all’apostasia. Le prove di un Michelangelo mancino affiorano nelle analisi del tratto effettuate sui disegni oppure sono evidenziate nello studio dell’esperto di medicina nell’arte Davide Lazzeri pubblicato sul Journal of the Royal Society of Medicine. Lazzeri spiega l’artrite degenerativa «che ha colpito la mano di Michelangelo, in particolare la mano sinistra come si evince dai quadri, usata per i lavori di forza come scolpire e cesellare. Altro elemento suggestivo è che Michelangelo in giovane età intaglia e incide un crocifisso per l’abbazia di Santo Spirito in cui l’iscrizione è dipinta da destra a sinistra, molto probabilmente perché all’epoca era ancora più abile con la mano sinistra nella pittura». Michelangelo non è stato comunque l’unico mancino fra gli artisti celebri; troviamo, infatti, pittori come Leonardo o Picasso, letterati come Kant o Kafka, ma anche musicisti quali Beethoven, Bob Dylan, Jimi Hendrix. Il Giornale torna sull’argomento Michelangelo e FLIP segnala l’articolo ai propri lettori.

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MICHELANGELO BUONARROTI (Caprese, 6 marzo 1475 – Roma, 18 febbraio 1564) è stato uno scultore, pittore, architetto e poeta italiano. Protagonista del Rinascimento italiano, fu riconosciuto già al suo tempo come uno dei maggiori artisti di sempre. Fu nell’insieme un artista tanto geniale quanto irrequieto. Il suo nome è collegato a una serie di opere che lo hanno consegnato alla storia dell’arte, alcune delle quali sono conosciute in tutto il mondo e considerate tra i più importanti lavori dell’arte occidentale: il David, la Pietà del Vaticano, la Cupola di San Pietro o il ciclo di affreschi nella Cappella Sistina sono considerati traguardi insuperabili dell’ingegno creativo. Lo studio delle sue opere segnò le generazioni successive, dando vita, con altri modelli, a una scuola che fece arte “alla maniera” sua e che va sotto il nome di manierismo.(Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL GIORNALE

Michelangelo, un genio mancino costretto a lavorare con la destra

Tutankhamun – Nessuna stanza segreta all’interno della sua tomba

 

«Riuscite a vedere qualcosa?» domandò Lord Carnarvon. «Sì, cose meravigliose!» rispose Howard Carter. È il dialogo tra Lord Carnarvon, il finanziatore della ricerca, e Howard Carter, il tenace archeologo, in occasione della prima visione della Camera Funeraria KV62. In quel momento il nome del re fanciullo si impose al mondo contemporaneo. Quando, però, il 16 febbraio del 1924 Carter dispose di aprire il sarcofago, Lord Carnarvon, era scomparso l’anno precedente. «Diedi l’ordine. Fra il profondo silenzio, la pesante lastra si sollevò. La luce brillò nel sarcofago. Ci sfuggì dalle labbra un grido di meraviglia, tanto splendida era la vista che si presentò ai nostri occhi: l’effige d’oro del giovane re fanciullo». La mummia intatta del faraone era collocata in un sarcofago d’oro massiccio pesante circa 110 kg, con il volto coperto da una maschera aurea riproducente le sembianze del defunto. Quella maschera funebre è ormai famosa quanto le meraviglie dell’Antico Egitto. Rimaneva sapere se la tomba di Nefertiti, bellissima sposa del faraone Akhenaton, padre del giovane re, si trovava o meno oltre la camera mortuaria di Tutankhamon, dietro a supposte porte murate. La tesi, infatti, era ed è che il faraone bambino, morto senza avere avuto il tempo di realizzare una tomba all’altezza della sua immagine divina, dimorasse provvisoriamente in quella realizzata per Nefertiti, anzi che la regina fosse deposta in qualche stanza attigua non ancora rivelata. Sembra, invece, che oggi si sia posto fine a questa controversia nata dall’ipotesi dell’egittologo Nicholas Reeves, cioè che la tomba della regina Nefertiti potesse essere dietro i dipinti a nord e a ovest della camera mortuaria. Non c’è niente di niente, con buona pace delle ipotesi e grazie ai rilevamenti scientifici.

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NEBKHEPERURA TUTANKHAMON (1341 a.C. circa – gennaio/febbraio 1323 a.C. circa), precedentemente noto come Tutankhaton e conosciuto semplicemente come Tutankhamon, è stato un sovrano egizio appartenente alla XVIII dinastia. Dodicesimo re della XVIII dinastia, facente parte del cosiddetto Nuovo Regno, è anche noto come “il faraone fanciullo”, essendo assurto al trono in giovanissima età, tra i nove e i dieci anni. La non trascrizione delle vocali nell’antica lingua egizia comporta oggi che il suo nome venga spesso riportato, anche a seconda della lingua, come Tutanchamun, Tutankhamun, Tutankhamen, Tutenkhamen, Tutenkhamon (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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LA REPUBBLICA

Torino, svelato il mistero di Tutankhamun: la tomba di Nefertiti non esiste

Jean de Reveillon – Il vescovo di Sarlat che portò pace nel meridione d’Italia

L’antico palazzo episcopale di Sarlat

La notizia riportata dal corrispondente del Corriere della Sera è curiosa come non mai. Riguarda Sarlat-la-Canéda, comune francese di diecimila abitanti nella regione della Nuova Aquitania. Il piccolo borgo è restato legato alle origini medievali, giacché le sue strade sono ancora senza nome e occorrerà intitolarle quanto prima ai personaggi autorevoli che hanno fatto la storia di quei luoghi. Experiences vorrebbe proporre il nome di Jean de Reveillon, vescovo della diocesi di Sarlat, dal 2 ottobre 1370 fino alla sua morte nel 1396. Nel catalogo dei libri pubblicati da Experiences compare, infatti, il prezioso volume scritto a quattro mani da Sergio Bertolami e Rosa Manuli, intitolato “ex Aqua”. La vicenda che vi si descrive – relativa allo studio dell’area falcata di Messina e del suo toponimo di San Raineri – ha come fulcro la firma del Trattato di Avignone del 1371, voluto da papa Gregorio XI. Nel tentativo di pace tra angioini ed aragonesi, per porre fine ad una guerra che contava ormai novant’anni, il papa Gregorio XI proteggeva e vigilava costantemente la regina Giovanna I di Napoli, attraverso collaboratori fidati quali Niccolò Spinelli e Raimondo del Balzo, nonché proprio il vescovo di Sarlat Jean de Reveillon. Grazie ad un’opera di ricucitura politica molto complessa, il papa riuscì a condurre a buon fine il matrimonio tra il siciliano Federico IV d’Aragona ed Antonia del Balzo, nipote della regina angioina Giovanna I di Napoli.
La principessa Antonia accompagnata dal vescovo di Sarlat, legato pontificio, e dagli ambasciatori siciliani e napoletani, sbarcò sulla riva del porto falcato di Messina in prossimità del Faro, accolta con grandissimo giubilo dallo sposo e da tutte le autorità della cittadinanza messinese. Due giorni dopo, il 26 ottobre 1373, furono fastosamente celebrate le nozze dal legato pontificio nel Duomo di Messina. Ciò che più conta, sotto il profilo politico, è che il re aragonese Federico poco meno di un mese dopo annunzierà di avere giurato il 17 dicembre il trattato di pace nelle mani del vescovo di Sarlat ed in presenza dei grandi del regno. Si compivano così le operazioni relative alla pace, la quale, sulla base del Trattato di Avignone dell’anno precedente, era stata concordata dal re Federico con la regina Giovanna I nel 1372; modificata dal pontefice e ratificata dalle parti contraenti il 31 marzo 1373 ad Aversa. Fu quindi sottoscritta da Federico IV in persona il 17 dicembre 1373 nel palazzo reale di Messina, dove il 17 gennaio del nuovo anno prestava giuramento di fedeltà al papa (che tolse la scomunica sull’isola di Sicilia) nelle mani del vescovo Sarlat, suo legato.
Per la verità, il re aragonese, è passato alla storia come “Federico il semplice” vale a dire “lo stupido”; con questo soprannome lo appella il grande storico Tommaso Fazello. In realtà, a differenza degli avi, è grazie al suo tenace agire che la pace si è concretizzata veramente, dimostrando di fatto – scrive Francesco Renda nella sua documentata Storia della Sicilia dalle origini ai nostri giorni, (Sellerio editore, Palermo 2003) – «che non fu poi così semplice se con il trattato di pace del 1372 sciolse il nodo storico che non era riuscito a sciogliere il nonno Federico III, cioè pose fine alla guerra dei 90 anni e raggiunse il riconoscimento internazionale del Regno di Sicilia».

SARLAT-LA-CANÉDA è un comune francese di 10.082 abitanti situato nel dipartimento della Dordogna nella regione della Nuova Aquitania, sede di sottoprefettura (arrondissement). Lo sviluppo della cittadina avvenne in epoca medievale, intorno ad una abbazia benedettina, che ancor oggi rimane centro turistico di interesse internazionale (candidato come patrimonio dell’umanità UNESCO). La sua moderna rivalutazione, spinta anche dal lavoro del ministro della cultura francese (1960-69) André Malraux, l’ha resa importante e riconosciuta come città medievale. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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CORRIERE DELLA SERA

Sarlat, dove le strade non hanno nome. E Internet non arriva

Javier Cercas – Mi rendo conto che le persone hanno dimenticato tutto

 

«Riflettiamo sull’Europa con Javier Cercas» così annuncia la Home del prossimo Salone del Libro di Torino. Perché Javier Cercas e chi è? Alla prima domanda troviamo risposta sul medesimo sito del Salone: «Siccome il futuro è al centro di quest’edizione, abbiamo chiesto a un grande scrittore europeo di ragionare insieme a noi sul concetto di Europa. Cos’è l’Europa nel XXI secolo, o cosa dovrebbe essere? È un’eterna incompiuta? È un’astrazione? È la grande speranza di tutti noi?». Quindi giovedì 10 maggio, in apertura di Salone, il pubblico ascolterà la lezione magistrale di Javier Cercas. Ma chi è questo scrittore spagnolo? Lo leggiamo nell’intervista di Marco Belpoliti rilasciata in occasione del suo ultimo romanzo, uscito lo scorso anno e visto che noi di FLIP siamo tipi curiosi abbiamo trovato come sfogliarne pure le prime pagine.

SFOGLIA LE PRIME PAGINE DEL SUO ULTIMO ROMANZO: Il sovrano delle ombre

 

JAVIER CERCAS MENA (Ibahernando, 1962) è uno scrittore e saggista spagnolo. Lavora anche come colonnista per il quotidiano spagnolo El País, e per anni è stato anche insegnante universitario di Filologia. La sua opera è principalmente narrativa, e si caratterizza per la mescolanza di vari generi letterari, l’uso del cosiddetto romanzo non-fiction e l’unione di cronaca e saggio con la finzione. Ha anche realizzato varie traduzioni di opere di altri autori. A partire dal suo romanzo di successo Soldados de Salamina, le sue opere sono state tradotte in più di venti paesi ed in più di trenta lingue. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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DOPPIOZERO

Scrittore o intellettuale? Intervista a Javier Cercas

Karl Marx – Come non accettare supinamente il pensiero egemone

 

Ricorrono duecento anni dalla nascita di Karl Marx. Per ricordarne l’evento FLIP oggi presenta due articoli. Quello del “Fatto Quotidiano” scritto da un professore di Storia economica come Sergio Noto e… sentite-sentite… una intervista fatta allo stesso Marx nel 1871. L’ha riproposta il settimanale “Internazionale”. L’originale è uscito su The World il 18 luglio 1871, con il titolo Interview with Karl Marx, head of L’Internationale. Accingiamoci alla lettura, dunque.

Karl Marx (1818-1883), filosofo politico e sociale, iniziò la sua carriera a Colonia nei primi anni quaranta come direttore di un giornale. Quando questo venne chiuso per motivi politici, si trasferì a Parigi, dove diresse un’altra pubblicazione fino a quando anch’essa venne chiusa per la stessa ragione. Si sistemò allora a Londra, dove scrisse le sue principali opere di filosofia e di economia politica. Si occupò ancora di giornalismo e fu corrispondente estero del New York Tribune dal 1851 al 1862. Il suo capolavoro, Il Capitale, venne pubblicato nel 1867. R. Landor, corrispondente del World, ha intervistato Marx a Londra e ha trasmesso il testo al giornale il 3 luglio 1871. Si pensa che l’altro signore tedesco presente per tutta la durata dell’intervista fosse Engels. Soltanto un paio di mesi prima, la Comune di Parigi, cui Marx aveva partecipato, era stata soffocata nel sangue.

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Marx, il nuovo Socrate

 

KARL MARX, spesso italianizzato in Carlo Marx (Treviri, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883), è stato un filosofo, economista, politologo, storico, sociologo, uomo politico e giornalista tedesco. Il suo pensiero, incentrato sulla critica in chiave materialista dell’economia, della politica, della società e della cultura capitalistiche, ha dato vita alla corrente socio-politica del marxismo. Teorico della concezione materialistica della storia e assieme a Friedrich Engels del socialismo scientifico, è considerato tra i filosofi più influenti sul piano politico, filosofico ed economico nella storia dell’Ottocento che ha avuto un peso decisivo sulla nascita delle ideologie socialiste e comuniste. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL FATTO QUOTIDIANO

Il capitalismo muore senza Marx

Ninalee Allen Craig – Splendida in quello scatto d’ammirazione e curiosità

 

FLIP vi racconta in breve chi era Ninalee Craig, una bella ragazza che nel 1951, fece un giro di sei mesi in Europa. A Firenze ha incontrato la fotografa Ruth Orkin e le due divennero amiche, in men che non si dica. Orkin l’ha ripresa mentre passeggiava facendo acquisti nei mercati, flirtando nei caffè, insomma mentre godeva della sua giovinezza e della sua bellezza. La più iconica delle foto è conosciuta come American Girl in Italia e mostra Ninalee che cammina per strada sotto lo sguardo di un gruppo di giovanotti affascinati. Oggi che i tempi sono cambiati, nessun ragazzo guarderebbe una coetanea con la medesima intensità, ecco perché quella fotografia è interpretata erroneamente come frutto di molestie e sessismo. Ma la stessa modella ha sempre sostenuto che in nessun momento è stata messa in imbarazzo e nessun ragazzo l’ha mai importunata durante le sue vacanze in Europa. In realtà quella foto rappresenta «il simbolo di una donna nell’età più meravigliosa!» che è quella della giovinezza e nessuno sguardo d’ammirazione ha mai avuto intenzione di offenderla. L’articolo che riprendiamo da “La Repubblica” racconta quella foto che ha fatto epoca. Serve a riflettere, una volta di più.

 

NINALEE CRAIG also known as Jinx Allen (6 November 1927 in Indianapolis – 1 May 2018 in Toronto) was an American woman, known for being the subject of a series of photographs by Ruth Orkin the most notable of which is American Girl in Italy. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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RUTH ORKIN (September 3, 1921 – January 16, 1985) was a self-taught award-winning American photographer, photojournalist, and filmmaker, with ties to New York City and Hollywood. Best known for her photograph An American Girl in Italy (1951), she photographed many celebrities and personalities including Lauren Bacall, Doris Day, Ava Gardner, Tennessee Williams, Marlon Brando, and Alfred Hitchcock.

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LA REPUBBLICA

Morta a 90 anni la ragazza della foto American girl in Italy: ‘Non c’era sessismo in quegli sguardi’

Stanley Kubrick – Storia di un’Odissea geniale

 

Il Giornale, in edicola, dedica un articolo alla vera storia di “2001 Odissea nello spazio” il film cult di Stanley Kubrick. L’articolo è in anteprima web su Cinquantamila.it ed è molto interessante, perché delinea i rapporti tra il regista e Arthur C. Clarke, il cui racconto breve La sentinella ha dato l’avvio ad una stretta collaborazione tra i due autori, anche se lo stesso Clarke ha affermato che «La sentinella assomiglia a 2001 come una ghianda assomiglia a una quercia adulta». L’affermazione sta ad evidenziare il lungo processo di costruzione (nel vero senso della parola) del capolavoro filmico, al quale fece seguito tre mesi dopo l’uscita nelle sale un ulteriore capolavoro letterario che ancora oggi è ristampato e letto e che si è moltiplicato in una serie di altri tre romanzi, diffusi tra il 1982 e il 1997. FLIP non aggiunge di più, perché nell’articolo in anteprima web la vicenda raccontata è accattivante e vale leggerla d’un fiato. Poi basta farsi un giro su Google per scoprire la miriade di servizi dedicati dai grandi quotidiani, dal momento che quest’anno ricorre il 50° anniversario dell’uscita del film “2001: A Space Odyssey”. Aggiungiamo soltanto un richiamo alle pagine del Corriere della sera, che mettono in luce come Kubrick immaginasse l’evoluzione hi-tech che oggi fa parte delle nostre vite: dalla stazione spaziale, ai tablet, agli assistenti virtuali, alle videochiamate e così via. Potenza dell’immaginazione.

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Corriere della Sera: «2001: Odissea nello spazio» compie 50 anni: 7 profezie sulla tecnologia che oggi usiamo

STANLEY KUBRICK (New York, 26 luglio 1928 – St Albans, 7 marzo 1999) è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense naturalizzato britannico. Viene considerato uno dei più grandi e geniali cineasti della storia del cinema, è stato anche direttore della fotografia, montatore, scenografo, creatore di effetti speciali, scrittore, fotografo. Le sue opere sono considerate dal critico cinematografico Michel Ciment “tra i più importanti contributi alla cinematografia mondiale del ventesimo secolo”. Ha diretto in totale tredici lungometraggi ed è stato candidato per tredici volte al Premio Oscar, vincendolo solo nel 1969 per gli effetti speciali di 2001: Odissea nello spazio. Nel 1997 gli è stato assegnato il Leone d’oro alla carriera al Festival del cinema di Venezia. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL GIORNALE - Anteprima su www.cinquantamila.it

La vera storia di 2001 Odissea nello spazio

 

Alberto Asor Rosa – Democrazia alla deriva e popolo uscito di scena

 

Nel popolo c’è nato, dice Alberto Asor Rosa: «Tutta la mia prima, fondamentale educazione è stata un’educazione popolare». Questo vale per la maggior parte di noi che scriviamo e di quanti ci leggono. I più giovani forse non hanno ben chiara la figura di questo professore “scomodo” che a torto o a ragione ha sempre detto e scritto quello che pensa. Nel 1965, appena trentaduenne, col vigoroso saggio Scrittori e popolo, lanciò la sua possente bordata alla letteratura italiana contemporanea, esprimendo, a chiare lettere, l’intento di smascherare il populismo. Si sollevò un coro di disapprovazione, sia da destra che da sinistra. Era inaccettabile mettere in discussione uno dei dogmi condivisi persino dalla classe media borghese e benpensante, vale a dire che con i buoni sentimenti si fa buona letteratura, quanto buona politica. Molti libri di autorevoli scrittori caddero sotto la critica del giovane professore: da Giovanni Pascoli a Carlo Levi. Disapprovò, persino, Ragazzi di vita, il romanzo di Pier Paolo Pasolini, altro intellettuale “scomodo” di quegli anni. «Asor Rosa è l’uomo che mi ha fatto più male in vita mia», commentò Pasolini. Scrittori e popolo è considerata tra le opere che hanno anticipato e creato il terreno fertile per il Sessantotto, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario. Oggi l’intervista rilasciata a Nicola Mirenzi per HUFFPOST ha creato meno scompiglio. Forse la maturità del contesto è cresciuta. Forse è vero il contrario: lo scombussolamento è talmente grande che le affermazioni di un intellettuale di peso, come Asor Rosa, sono una goccia nel mare. FLIP riprende l’intervista e la ripropone in quanto è basilare riflettere sul «perché la sinistra, in tutte le sue forme, non abbia impedito la retrocessione e l’inabissamento del “popolo” nella “massa”, anzi abbia favorito il formarsi e l’emergere della “massa” come elemento costitutivo fondamentale del nostro modo di pensare, progettare e fare politica, operando così il suo suicidio». Per facilitare i più volenterosi dei lettori, oltre alla scheda di Wikipedia su Alberto Asor Rosa, rimandiamo alle voci tratte dalle opere del nostro prestigioso Istituto Treccani.

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Voce Massa dal Dizionario di Storia (2010)

Voce Popolo dal Dizionario di Storia (2011)

Voce Populismo dalla Lingua italiana (2013)

 

ALBERTO ASOR ROSA (Roma, 23 settembre 1933) è un critico letterario, scrittore, politico e docente universitario italiano. Di formazione marxista, vicino alle posizioni operaiste di Mario Tronti, ha collaborato alle riviste Quaderni rossi, Classe operaia, Laboratorio politico e Mondo Nuovo. È stato direttore della rivista Contropiano (1968) e, dal 1990, del settimanale del PCI Rinascita. Ha progettato e diretto la collana Letteratura Italiana Einaudi. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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HUFFPOST

Alberto Asor Rosa: “La sinistra non ha impedito l’inabissamento del ‘popolo’ nella ‘massa’ e ha operato così il suo suicidio”

 

Giulia Agrippina Augusta – Sorella, moglie, madre di imperatori

 

I libri si rifanno ai libri. E dei nuovi libri si parla nei Saloni ad essi dedicati. Lo storico Salone del Libro del libro italiano è quello di Torino che sta per aprire i battenti (10 – 14 maggio 2018). Per cui cominciano le grandi manovre. Noi con FLIP abbiamo scelto il saggio di Andrea Carandini Io, Agrippina (Laterza, pagine 312, euro 20), arricchito con illustrazioni e tavole a cura di Maria Cristina Capanna e Francesco De Stefano. Il saggio, da giovedì 3 maggio in libreria, descrive le molteplici vicende della dinastia Giulio-Claudia, ove spicca una figura femminile ben lontana da ogni scrupolo, Agrippina, madre di Nerone. Paolo Mieli analizza il personaggio e il contesto storico da par suo e commenta il lavoro di Carandini, fra i più grandi archeologi che l’Italia possa vantare: «Il modello è, fin dal titolo, Io, Claudio di Robert Graves pubblicato nel 1934 e tradotto in Italia, in tempi recenti, per le edizioni Corbaccio. Ma il racconto di Carandini si differenzia in più parti da quello ben più romanzato di Graves. Ovviamente un altro punto di riferimento sono le Memorie di Agrippina di Pierre Grimal, un testo però meno ricco e affascinante di quello di Carandini. Fonte di ispirazione, più alla lontana, sono anche le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar». Si possono aggiungere, oltre alla biografia Nerone di Edward Champlin (Laterza, 2005), tanti altri libri ancora, divenuti dei classici come quelli citati, ed altri se ne scriveranno, perché di libri non ci stancheremo mai. Sul tema del suo lavoro l’illustre archeologo terrà una lectio magistralis, introdotta da Alessandro Laterza, al Salone del libro di Torino venerdì 11 maggio (ore 12, Sala Rossa). Nell’attesa godiamo delle parole di Paolo Mieli.

VEDI ANCHE:

Il 31° Salone Internazionale del Libro di Torino: Da giovedì 10 a lunedì 14 maggio 2018 al Lingotto Fiere – Torino.

 

GIULIA AGRIPPINA AUGUSTA (in latino: Iulia Agrippina Augusta; Ara Ubiorum 6 novembre 15 – Baia, marzo 59), nata semplicemente Giulia Agrippina e meglio conosciuta come Agrippina minore (Agrippina minor, per distinguerla dalla madre Agrippina maggiore), è stata una nobildonna e imperatrice romana, appartenente alla dinastia giulio-claudia. Sposò l’imperatore romano Claudio, suo zio, il quale adottò il figlio da lei avuto dal precedente matrimonio con Gneo Domizio Enobarbo, Nerone, che sarebbe poi diventato a sua volta imperatore. Insignita del titolo di Augusta dell’Impero romano nel 50, Agrippina ebbe il ruolo di reggente durante l’assenza del marito Claudio e fu la prima donna a governare di fatto l’impero durante i primi anni di regno del figlio. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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CORRIERE DELLA SERA

La feroce lotta per il potere
nella Roma dei veleni